domenica 22 novembre 2015

Cristo Re dell'Universo - XXXIV per annum (B)






Questa solennità fu introdotta da papa Pio XI (Achille Ratti, il papa di Desio), con l’enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre 1925, a coronamento del Giubileo che si celebrava in quell’anno.

È poco noto e, forse, un po’ dimenticato, che non appena elevato al soglio pontificio, nel 1922, papa Pio XI condannò in primo luogo esplicitamente il liberalismo “cattolico” nella sua enciclica “Ubi arcano Dei”. Egli comprese, però, che una disapprovazione in un’enciclica non sarebbe valsa a molto, visto che il popolo cristiano non leggeva i messaggi papali – visto che erano anche in latino!. Qual saggio pontefice pensò allora che il miglior modo di istruirlo fosse quello di utilizzare la liturgia. Di qui l’origine della “Quas primas”, nella quale egli dimostrava che la regalità di Cristo implicava (ed implica) necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico: “Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici”. Dichiarava, quindi, di istituire la festa di Cristo Re, spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi”.

Lo stesso Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1978 affermava:

Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!

Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!

Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.

Infine. Il Regno di Dio, in Cristo Gesù, non è un regno secondo lo schema di questo mondo.

Se lo fosse, dice Gesù, “i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato …; ma il mio regno non è di quaggiù”.

Pensiamo a tutte le volte che Gesù fugge perché vogliono farlo re secondo lo schema di questo mondo!

 Tutto questo ci fa pensare che esiste una dimensione “alta” della vita, quella secondo il Regno di Dio, che non è di quaggiù.

Come accoglierla?

Come viverla?

Come permettere a Cristo di regnare?

Lo dice lo stesso Vangelo: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.

Tale festività coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico, con ciò vuole farci capire che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e l’Omega, come canta l’Apocalisse. Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità. Alla domanda di Pilato: “Allora tu sei re?”, il Redentore rispose: “Tu lo dici, io sono re”. Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re. Egli solo, infatti, Dio e uomo – scriveva il successore Pio XII, nell’enciclica “Ad caeli Reginam” dell’11 ottobre 1954 – “in senso pieno, proprio e assoluto, … è re”.

Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati a condividere la sua regalità, se “ascoltano la sua voce” (Gv 18,37). È veramente re colui che la verità ha reso libero (Gv 8,32).

Santi Martiri Armeni (+ 1915)



locandina del Film

La masseria delle allodole è il 18° film diretto dai fratelli Taviani, tratto dall'omonimo romanzo di Antonia Arslan. Narra le vicende di una famiglia armena dell'Anatolia all'epoca del genocidio armeno (1915). Il film è uscito nelle sale italiane nel 2007.
scena del film
 
<< La scena più commovente del film dei fratelli Taviani. La scrittrice Antonia Arslan e Alice Tachdjian Polgrossi nel suo libro "Pietre sul cuore" ci raccontano che la pratica di risparmiare ai propri bambini le sofferenze del genocidio uccidendoli in questo modo era piuttosto diffusa durante quei terribili anni.
Dal diario di Varvar, madre di Alice Tachdjian, pag.93-94: "il nostro piccolo di due mesi piangeva perché aveva fame, non c'era più latte nei seni di Hripsimé, l'erba che si mangiava lungo le strade provocava delle coliche atroci al bambino, povera creatura comunque destinato a morire di fame, di diarrea o per la spada. Per non farci scoprire dai suoi pianti, nostra madre e nostra sorella soffocarono il neonato in mezzo alle loro schiene, l'una contro l'altra, senza guardarsi. Si spense come una..."
Vittorio Taviani: Nel libro non c'era la scena delle due donne costrette a liberarsi del bambino. Abbiamo trovato gli appunti di una donna armena che raccontava queste cose. La uccidevano schiacciandolo schiena contro schiena per non guardarlo e quasi confonderlo nel ventre della madre. (Dall’intervista di Nicola Falcinella per l'Osservatorio sui Balcani 02-04-07).
TRAMA DEL FILM. È il 1915. In una cittadina della Turchia vive la benestante famiglia armena degli Avakian. Alla morte dell'anziano capofamiglia, vengono invitati alle esequie anche alcuni Turchi, tra cui il colonnello Arkan, capo della guarnigione locale, nella speranza che i passati contrasti tra Turchi e Armeni siano ormai superati, e che si possa instaurare un rapporto di rispetto reciproco tra le due comunità. I funerali sono così l'occasione per la bella armena Nunik di rivedere il suo amato, l'ufficiale turco Egon. Quest'ultimo, pur appartenendo all'organizzazione dei Giovani Turchi, non ne condivide le posizioni anti-armene, e progetta di fuggire all'estero con Nunik.
Intanto Assadur, il figlio maggiore del patriarca, che da molti anni vive a Padova e a cui il padre aveva vietato di tornare in patria, apprende che quest'ultimo ha comunque lasciato a lui la vecchia Masseria delle Allodole. Assadur decide che è venuto il momento di tornare in Anatolia e riunire di nuovo tutta la famiglia. La masseria viene così rimessa a nuovo, e inaugurata con una splendida festa, mentre Assadur inizia i preparativi per il viaggio.
Questi momenti di felicità sono però bruscamente interrotti. Le autorità turche contattano il generale Arkan, dicendogli senza mezzi termini che è arrivato il momento di sbarazzarsi degli Armeni, una volta per tutte: tutti i maschi devono essere uccisi, le donne deportate. Arkan è inorridito, ma deve obbedire agli ordini. Spera tuttavia di salvare la vita perlomeno degli Avakian, ma i suoi ordini non vengono rispettati, e una squadra di soldati turchi si presenta alla masseria, massacrando tutti gli uomini. Alla notizia della strage, Assadur vorrebbe affrettare il ritorno per aiutare gli Armeni, ma la notizia dell'ingresso in guerra dell'Italia lo fa desistere. Intanto il tentativo di fuga di Egon e Nunik è scoperto, ed Egon viene spedito al fronte contro i Russi.
Sotto la stretta sorveglianza dei soldati turchi, inizia così per le donne armene una lunga ed estenuante marcia verso il deserto. Qui le donne armene vengono maltrattate sotto le porte di Aleppo finché non verranno uccise tutte. Durante la sosta sotto le mura Nunik, la nipote del patriarca morto all'inizio del film, tenta di prostituirsi ad un soldato (Yasuf) per avere del cibo per i bambini. Quest'ultimo la riveste e le dà del cibo per nulla in cambio, quindi si crea un rapporto tra i due nel quale ci sarà la promessa del soldato che in casi estremi avrebbe dovuto uccidere Nunik per evitarle la sofferenza della tortura di cui lei aveva paura. Terrà questa promessa quando lei tenterà di scappare e verrà fermata e per non finire al rogo, verrà quindi decapitata da Yasuf. Quattro anni dopo, la guerra finisce e lui stesso denuncia se stesso per quest'atto cruento durante un processo.
* Giovani Turchi. Giovani Turchi (turco Genç Türkler o Yeni Türkler o Jön Türkler) è la denominazione con cui la storiografia fa riferimento agli appartenenti a un movimento politico della fine del XIX secolo (prima noti col nome di Giovani Ottomani) affermatosi nell'Impero ottomano, ispirato dalla mazziniana Giovine Italia, costituito allo scopo di trasformare l'Impero, allora autocratico e inefficiente, in una monarchia costituzionale, con un esercito modernamente addestrato ed equipaggiato. Ma i Giovani turchi attuarono un ordinamento amministrativo più centralistico di quello, autoritario ma inefficiente, del vecchio regime ottomano, e ottennero l'effetto di accentuare le spinte indipendentiste e di accelerare la dissoluzione della maggior parte di quanto restava della presenza turca (impero ottomano) in Europa. Inoltre i suoi dirigenti, in particolare Talat Paşa, si macchiarono delle colpe del genocidio armeno, condotto durante la prima guerra mondiale.
 
Icona (particolare) dei Santi Martiri Armeni
 
 
SANTI MARTIRI ARMENI. (1915 – 2015). Cent’anni orsono si consumava uno dei più sanguinosi eccidi dei tempi moderni che costò la vita ad un milione e mezzo di cristiani armeni. Domenica 12 aprile 2015, Papa Francesco, durante la Messa presieduta in Vaticano non ha esitato a riconoscere questo tragico evento quale un vero e proprio genocidio, che ne dicano coloro che ancora oggi si ostinano a non riconoscerlo come tale. Il 23 aprile 2015 la Chiesa Apostolica Armena ha canonizzato in massa questo milione e mezzo di uomini, donne e bambini morti a causa della loro appartenenza etnica e religiosa. Il giorno successivo, 24 aprile, a partire da quest’anno diviene così la “giornata della memoria” di queste vittime, come ha annunciato il patriarca armeno Karekin II nell’enciclica con cui ha aperto ufficialmente le celebrazioni del centenario del genocidio. Celebrazioni che si estenderanno per tutto l'anno, ha sottolineato, specificando che “ogni giorno del 2015 sarà un giorno di ricordo e di devozione al nostro popolo, un viaggio spirituale al memoriale dei nostri martiri. Nel 1915 e negli anni successivi un milione e mezzo di nostri figli e figlie ha subito la morte, la fame, la malattia; è stato deportato e costretto a camminare fino alla morte. Secoli di creatività e di obiettivi raggiunti sono stati distrutti in un istante. Migliaia di chiese e monasteri sono stati profanati e distrutti, le istituzioni nazionali e le scuole rase al suolo e demolite. I nostri tesori spirituali e culturali sono stati sradicati e cancellati”. In seguito, con il coraggio della fede e il genio che lo caratterizza, questo popolo ha potuto “risuscitare dalla morte” e tornare a brillare, come spiega il patriarca. “Riponendo la nostra speranza in Te, o Signore, il nostro popolo è stato illuminato e rafforzato. La tua luce ha acceso l'ingegno del nostro spirito. La tua forza ci ha orientati alle nostre vittorie. Abbiamo creato quando altri avevano distrutto le nostre creazioni. Abbiamo continuato a vivere quando altri ci volevano morti”. Il centenario permette di celebrare anche questa risurrezione. Anche la Chiesa Cattolica Armena ha già avviato le pratiche per la beatificazione di 43 suoi figli vittime del genocidio.
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Fonti:

* wikipedia.it
* zatik.com
* armenianchurch-ed.net