mercoledì 28 gennaio 2015

Tommaso D'Aquino e Rolando Rivi




Non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso.

La liturgia odierna che celebra il Santo di Roccasecca, detto dai suoi compagni di studio “bue muto” per il suo essere schivo e robustello, ci propone la Croce di Cristo come sapienza per la vita.

Scrive San Tommaso:
Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce.

Infatti la Croce è carità:
Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

La Croce è pazienza.
Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano.
Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1 Pt 2, 23) e come un agnello fu condotto alla morte e non apri la sua bocca (cfr. At 8, 32).

Ma la Croce è anche umiltà, obbedienza e disprezzo dello mentalità di questo mondo.

La Croce è una scuola di vita cristiana, sulla via della Croce si impara ad essere discepolo e quindi si impara ad essere sale e luce:
Voi siete il sale della terra; …. Voi siete la luce del mondo.

Il grande San Tommaso d’Aquino educò con i suoi scritti generazioni e generazioni di cristiani alla scuola della Croce, per renderli veri discepoli di Cristo.

Chissà quante volte il piccolo Rolando ha visto il suo parroco leggere le orazioni in preparazione alla Messa, di cui una è del Santo d’Aquino:
Onnipotente ed eterno Iddio, ecco che io mi accosto al Sacramento del Figlio tuo unigenito nostro Signore Gesù Cristo: mi accosto come infermo al medico della vita, come immondo al fonte della misericordia, come cieco al lume della chiarezza eterna, come povero e bisognoso al Signore del cielo e della terra. … Concedimi ti prego, che io riceva non solo il Sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, ma anche la grazia e la virtú di questo Sacramento.

La vita del giovane martire Rolando è certamente sacramento, cioè presenza di Cristo, perché ogni vero testimone di Cristo è Sua presenza: è sale e luce.
Il martirio di Rolando ci da il gusto di Dio, ci pensare come è bella una vita tutta in Dio: “Io sono di Gesù”, come diceva Rolando.
Così come il suo parroco pregava con l’orazione di San Tommaso nella Praeparatio ad Missam:
ch'io riceva cosi il Corpo dell'unigenito Figlio … così che io meriti d'essere incorporato al suo mistico corpo ed annoverato fra le sue mistiche membra.
Una vita - quella di Rolando - che è ora luce sul lucerniere alla Chiesa, annoverato tra i Dottori, i Vescovi, i Sacerdoti, le Vergini, i Genitori … lui un semplice ragazzo.

L’Aquinate nella sua Somma Teologica scrive: «il martirio meglio di tutti gli altri atti virtuosi dimostra la perfezione della carità»
Rolando è la carità di un bambino verso di noi? Rolando è la carità di Dio verso di noi? Rolando è segno profetico di una riconciliazione dell’umanità del XX con il suo Signore?
 


 
Rolando con la sua morte è un segno che una vita è veramente cristiana se diventa veramente di Gesù! Amen.

martedì 27 gennaio 2015

Cristo o Hitler?




Cristo dice:
«Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo
– poiché di me sta scritto nel rotolo del libro –
per fare, o Dio, la tua volontà”».

Siamo ancora dentro il testo, un po’ ostico, della lettera agli Ebrei.
L’autore pone una nuova misura per dare lode a Dio, non la Legge (con tutti i suoi precetti!) e nemmeno il sacrificio animale, ma la lode a Dio è compiere la volontà del Signore.
Questa è la vera lode!
Anzi, alla luce del Vangelo, si comprende che questa è la vera famigliarità con Dio: come il Figlio è tale perché compie la volontà del Padre, così anche noi, siamo in Dio madri e fratelli: Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre.

Questa nuova legge è una legge del cuore.
Allora ogni pratica cristiana, ogni devozione, ogni precetto della Chiesa, serve a tenere desto il cuore per vivere la volontà di Dio, che è l’esperienza del Figlio unigenito, nel quale Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!

Oggi è la Giornata dell’Olocausto, ben ci stanno in questo discorso le parole del beato Franz Jägerstätter, cattolico austriaco, che dal carcere scrive:

Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà. Talvolta Dio ci mostra apertamente la sua forza, che Egli dona agli uomini che lo amano e non preferiscono la terra al cielo.

Meglio le mani legate che la volontà!
Un cristiano, un cattolico, il beato Franz che ci fa riflettere su cosa vuole dire obbedire alla volontà di Dio.
Ancora scrive:
Siate ubbidienti e sottomettetevi alle autorità (egli un soldato sotto il nazismo) Io credo che si possa anche prestare cieca obbedienza, ma solo se così facendo non si danneggia nessuno. Se al giorno d’oggi gli uomini fossero un po’ più sinceri ci dovrebbe essere, credo, anche qualche cattolico che dice: “Sì, mi rendo conto che quello che stiamo compiendo non è bene, tuttavia non mi sento ancora pronto a morire”.

Possiamo dire credo, in questo ragionamento, che l’Olocausto è anche colpa della non coscienza cristiana.
Ma questo vale ancora oggi quando facciamo tacere la coscienza, e poniamo l’obbedienza alla volontà di Dio non come la lode da dare a Dio, ma il disturbo da non vivere, il silenzio da fare, la coscienza da far tacere. E quindi assecondiamo ogni fratricidio, morale, fisico o verbale di ogni uomo che la cultura del momento definisce come un non uomo. Non fecero così al tempo del beato Franz con gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali. Oggi chi è la vittima di una coscienza messa a tacere?
Negli anni 50 avevamo i terüni; concetto che abbiamo ancora nelle nostre comunità cristiane! Non vi dico poi vecchi sacerdoti! Che vergogna, che onta sul nostro cristianesimo!
Ma siamo ancora lì!
Nulla è stato dimenticato! Ora abbiamo gli extracomunitari, e di recente abbiamo aggiunto gli islamici: con una differenza, ora siamo istigati da tutta una mediazione televisiva che deforma la nostra coscienza, un tempo era tutta farina del nostro sacco! Vergogna!

Scrive ancora il Beato Franz:
Io mi azzardo a dire molto apertamente che chi è pronto a soffrire e a morire, piuttosto che offendere Dio con il più piccolo peccato veniale, è anche disposto a morire per la propria fede. Questi avrà maggior merito di chi viene condannato pur di non abiurare pubblicamente la Chiesa, perché in questo caso si ha semplicemente il dovere, se non si vuol commettere peccato grave, di morire piuttosto che obbedire.

Il cristiano deve avere il coraggio di una disobbedienza civile e sociale se questa va contro l’obbedienza alla volontà di Dio!
Dio vuole l’odio tra gli uomini? Ed allora perché sei razzista!
Dio vuole la morte del figlio in grembo? Ed allora perché fai l’aborto!
Dio vuole le lotte fratricide? Ed allora perché alimenti le guerre tra gli uomini!
Scrive ancora il Beato: noi uomini siamo cambiati in molte cose, ma Dio non ha tolto uno iota dai suoi comandamenti.
Forse nell’essere nella volontà di Dio ti sentirai solo, ma il beato Franz oramai in carcere e a pochi giorni prima di morire afferma:
Né il carcere, né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile.

La stessa cosa l’aveva detta l’Apostolo Paolo:
Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.


 

Concludo.
Scrive il beato Franz in una lettera al cugino Hans:
Se non ci fosse la paura degli uomini, allora ci sarebbero tanti santi a questo mondo … Non rinunciare alla preghiera perché tu non venga travolto da questa debolezza della paura degli uomini.

uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare … Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, … Amen.

sabato 24 gennaio 2015

"Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita" (Lc 21,19)





Decreti 22 gennaio 2015

- il miracolo, attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Teresa Casini, Fondatrice della Congregazione delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù; nata a Frascati (Italia) il 27 ottobre 1864 e morta a Grottaferrata (Italia) il 3 aprile 1937;

- il martirio delle Serve di Dio Fidelia (al secolo: Dolores Oller Angelats) e 2 Compagne, Religiose professe dell'Istituto delle Suore di San Giuseppe di Gerona; uccise in odio alla Fede, tra il 26 e il 29 agosto 1936, durante la guerra civile spagnola;

- il martirio dei Servi di Dio Pio Heredia e 17 Compagni e Compagne, degli Ordini Cistercensi della Stretta Osservanza (Trappisti) e di San Bernardo; uccisi in odio alla Fede, nel 1936, durante la guerra civile spagnola;

- il martirio del Servo di Dio Tshimangadzo Samuele Benedetto Daswa (Bakali), Laico, ucciso in odio alla Fede, il 2 febbraio 1990, a Mbahe (Sud Africa);

- le virtù eroiche del Servo di Dio Ladislao Bukowiński, Sacerdote diocesano; nato a Berdyczów (Ucraina) il 22 dicembre 1904 e morto a Karaganda (Kazakhstan) il 3 dicembre 1974;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Luigi Schwartz, Sacerdote diocesano, Fondatore delle Congregazioni delle Suore di Maria e dei Fratelli di Cristo; nato a Washington, D.C. (Stati Uniti d'America) il 18 settembre 1930 e morto a Manila (Filippine) il 16 marzo 1992;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Cointa Jáuregui Osés, Monaca professa della Società di Maria Nostra Signora; nata a Falces (Spagna) l'8 febbraio 1875 e morta a San Sebastián (Spagna) il 17 gennaio 1954;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Teresa Gardi, Laica, del Terzo Ordine di San Francesco; nata ad Imola (Italia) il 22 ottobre 1769 ed ivi morta il 1° gennaio 1837;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Luigi Trelles y Noguerol, Laico, Fondatore dell'Adorazione Notturna in Spagna; nato a Viveiro (Spagna) il 20 agosto 1819 e morto a Zamora (Spagna) il 1° luglio 1891;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Elisabetta Maria Satoko Kitahara, Laica; nata a Tokyo (Giappone) il 22 agosto 1929 ed ivi morta il 23 gennaio 1958;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Virginia Blanco Tardío, Laica; nata a Cochabamba (Bolivia) il 18 aprile 1916 ed ivi morta il 23 luglio 1990.
 
 
In questa nuova sfornata di “pane fresco della santità cattolica” di sono ben 5 laici; poi 2 sacerdoti diocesani, il resto sono religiosi e religiose.

Tra questi, 23 sono prossimi beati, di cui 22 sono martiri del XX secolo. Interessante è la presenza di una venerabile giapponese, credo la prima, non martire tra i testimoni del Vangelo nella terra evangelizzata dal Saverio.


 
Merito di nota è anche il venerabile Ladislao Bukowiński, ucraino di nascita, ma è il primo venerabile in Kazakhstan. Altro testimone del Vangelo in questa terra - Karaganda (Kazakhstan) - è il prete fidei donum veronese Don Bernardo Antonini († 2002) dell’Istituto Gesù Sacerdote.
Tra i martiri ucraini beatificati nel 2001 ci sono però due kazachi: Nykyta Budka e Oleska Zarts’kyi, martiri in  Karaganda (Qaraghandy) tra 1949 e 1963.


 

giovedì 22 gennaio 2015

San Felice Martire e Montepaone



San Giusto Martire
patrono di Palermiti (CZ)


Venerato da secoli, «San Felice» è il patrono della Comunità cristiana di «Aurunco» prima di «Montepaone» poi. Il mezzobusto lo ritrae con il «Libro», l’«Aureola» e la «Palma» che del «Santo», iconograficamente, esaltano la «Sapienza», «la Fede» ed il «Martirio».
Ma chi è stato «San Felice»? La domanda è legittima e chiede – per la nostra esperienza di fede e la nostra pietà – una risposta scientificamente plausibile.
La lunga giogaia di colline che partendo da Squillace arrivano sino al fiume Allaro costituisce un’area geografica di esteso insediamento monastico, di tipo eremitico (la laura del Consolino/Stilo) è di tipo cenobitico, mentre le chiese pregano e celebrano col rito e la liturgia greco-bizantina.
L’Eparchia di Calabria ricade entro i confini dell’impero bizantino ed a partire dalla prima metà del VIII secolo (740) è sottoposta al patriarcato di Costantinopoli.
Ma è anche in questo periodo che scoppia sterminatrice e feroce la persecuzione «iconoclastica» che incendia e dissacra chiese, reliquie ed icone.
Ne difendono la teologia ed il culto i monaci, brutalmente costretti a fuggire portando con sé le Icone e le Reliquie.
La venerazione per i resti santi dei martiri durava ormai da quattro secoli. Ora trasmigrando sui litorali e colline di Calabria, la trasformano in una salmodiante ed ornante «tebaide».
Sono orientali o italo-greci i «santi» venerati nell’area della diocesi di Squillace: S. Agazio (Squillace), S. Gregorio (Stalettì), S. Pantaleone (Montauro), I Ss. Medici (Satriano), S. Sostene (S. Sostene), S. Andrea (S. Andrea sullo Ionio), S. Caterina V. e M. (S. Caterina sullo Ionio), S. Giovanni Theresti – S. Ambrogio – S. Nicolò (in Stilo), S. Nicola (Camini), I Ss. Medici (Riace), San Basilio M. (Placanica).
Da tempo antichissimo, a Montepaone ed a Gasperina, sono venerati S. Felice e S. Innocenzo, identici i motivi iconografici, Eguale – nel petto – la custodia delle loro «Reliquie», comune la loro storia.
La nostra personale convinzione, più che ipotesi, è che si tratta di santi orientali come i sopra menzionati per i luoghi vicini.
I nomi di Felice e di Innocenzo compaiono intano in alcuni «Sinassari bizantini» in uno dei quali abbiamo il racconto della scelta di vita di cinque giovani ateniesi, decisi a lasciare censo e rango sociale per farsi penitenti in Apollonia, un luogo solitario non molto lontano da Atene.
Siamo nel III secolo e nell’impero infuria cieca e disseminata la persecuzione ai cristiani.
Isaurico, Geremia, Pellegrino, Innocenzo e Felice – questi i nomi dei cinque giovani – sono raggiunti, riportati in città e sollecitati all’apostasia. Inutilmente. I giovani sono sottoposti al «martirio».
Mani pietose raccolsero i loro resti mortali, li custodirono e li venerarono.
Nell’ora, ancora oscura e terrificante, della persecuzione iconoclasta, monaci devoti li portarono con sé nelle nostre plaghe e crebbe rinnovato il culto il culto e proclamati «patroni» delle nostre comunità.
In questo clima di eroico ascetismo, in alto delle casupole di Aurunco, sorse prestigioso il Monastero greco di «San Nicola presso il Fiume» del quale avanzano ancora le mura e gli archi.
Ed ebbe luminosa vita se dalla sua ascesi emerse nel secolo il nostro santo Basilio Scamardì.  (Don Mario Squillace “1927 – 1992”, a cura di Mario Pitaro)
 
 
Questo quanto si legge in soverato.eu
La ricostruzione storica è intelligente, ma non collima con altri tradizioni locali, tra cui quella di Gasperina, dove è venerato Sant'Innocenzo, la cui fondazione è legata ad una grangia dei Certosini di Serra e non ai monaci basiliani. 
 
 
Difatti in questo paese il santo è raffigurato come diacono e la sua identificazione è con diacono di papa Sisto, secondo molti testi di storia dei culti santi in Calabria.
Detto questo la teoria intelligente non regge più.
 
 

San Felice martire
patrono di Montepaone (CZ)
 
Secondo il mio modesto parere il San Felice venerato a Montepaone è un martire romano, non bene identificabile, di cui le reliquie arrivarono nel paese jonico non certo dai monaci basiliani. Un culto simile è San Giusto a Palermiti, il cui busto richiama quello di Montepaone.
I culti di santi orientali nella costa jonica della Calabria, e in genere in tutta la costa jonica dell'Italia sono si legati alla fuga del monachesimo orientale, ma anche alla dominazione bizantina.
Poi perché venerare Innocenzo e Felice e non gli altri?
 
 

S. Innocenzo diacono martire
patrono di Gasperina (CZ)
 

martedì 20 gennaio 2015

Messi alla prova ...



 
Quindi lasciamo da parte il 'fino a quando?' e il 'fino a che punto?' e rimettiamoci al giudizio di Dio, che certamente sa disporre la durata del tempo secondo quel che è utile. Ascolta la Scrittura che dice: 'Dio mise alla prova Abramo' (Gen. 22, 1). Forse per poco tempo? Niente affatto, ma per molti anni e con molte prove; e quando lo vide perfetto nella fede, allora gli disse: 'Ora so che tu temi Dio e per me non hai risparmiato il tuo figlio diletto' (Gen. 22, 12). Mise ...alla prova anche Giobbe, in lotte ancor più grandi e per molti anni; e quando lo vide perfetto nella pazienza, gli rivolse queste parole: 'Non credere che ti abbia trattato così per altro motivo se non per farti apparire giusto' (Gb. 40, 8). Allo stesso modo, tutti gli altri profeti, i santi apostoli, i beati martiri e tutti i santi e i giusti, li ha messi alla prova attraverso molte tribolazioni e per molti anni, ha reso loro testimonianza e quindi li ha presi con sé. Perciò possiamo pensare lo stesso anche per noi.

(San Teodoro Studita, Piccole Catechesi, Catechesi 92)

lunedì 19 gennaio 2015

I santi di Calcedonia


acquaforte Antonio Banzo
XVIII - XIX secolo

Dio onnipotente ed eterno che per mezzo dei Santi concedi le grazie più singolari, degnati di esaudire le umili suppliche che Ti porgiamo per mezzo del glorioso martire Sostene, e per i suoi meriti dacci il tuo amore e la grazia di fare sempre ed in ogni cosa la tua santissima volontà. Amen.


Eufemia di Calcedonia
A Calcedonia in Bitinia, nell’odierna Turchia, santa Eufemia, vergine e martire, che sotto l’imperatore Diocleziano e il proconsole Prisco, superati per Cristo molti supplizi, giunse con strenuo combattimento alla corona di gloria. (MR 2001 - 16 settembre)
 
Sostene e Vittore di Calcedonia
Chalcedone sanctorum Martyrum Sosthenis et Victoris, qui, in persecutione Diocletiani, sub Asiae Proconsule Prisco, post vincula et bestias superatas, jussi sunt incendi; at illi, salutantesse invicem in osculo sancto, in oratione positi emiserunt spiritum. (MR 1956 - 10 settembre)

sabato 17 gennaio 2015

Sant'Antonio abate



cassa processionale di Sant’Antonio Abate
di Anton Maria Maragliano (XVIII secolo)
particolare


La vocazione di sant'Antonio . Dopo la morte dei genitori, lasciato solo con la sorella ancor molto piccola, Antonio, all'età di diciotto o vent'anni, si prese cura della casa e della sorella. Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando un giorno, mentre si recava, com'era sua abitudine, alla celebrazione eucaristica, andava riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore, dopo aver abbandonato ogni cosa. Richiamava alla mente quegli uomini, di cui si parla negli Atti degli Apostoli che, venduti i loro beni, ne portarono il ricavato ai piedi degli apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri. Pensava inoltre quali e quanti erano i beni che essi speravano di conseguire in cielo.
Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli» (Mt 19, 21).
Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia — possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni — perché non fossero motivo di affanno per sé e per la sorella. Vendette anche tutti i beni mobili e distribuì ai poveri la forte somma di denaro ricavata, riservandone solo una piccola parte per la sorella.
Partecipando un'altra volta all'assemblea liturgica, sentì le parole che il Signore dice nel vangelo: «Non vi angustiate per il domani» (Mt 6, 34). Non potendo resistere più a lungo, uscì di nuovo e donò anche ciò che gli era ancora rimasto. Affidò la sorella alle vergini consacrate a Dio e poi egli stesso si dedicò nei pressi della sua casa alla vita ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla concedere a se stesso.
Egli lavorava con le proprie mani: infatti aveva sentito proclamare: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi» (2 Ts 3, 10). Con una parte del denaro guadagnato comperava il pane per sé, mentre il resto lo donava ai poveri.
Trascorreva molto tempo in preghiera, poiché aveva imparato che bisognava ritirarsi e pregare continuamente (cfr. 1 Ts 5, 17). Era così attento alla lettura, che non gli sfuggiva nulla di quanto era scritto, ma conservava nell'animo ogni cosa al punto che la memoria finì per sostituire i libri. Tutti gli abitanti del paese e gli uomini giusti, della cui bontà si valeva, scorgendo un tale uomo lo chiamavano amico di Dio e alcuni lo amavano come un figlio, altri come un fratello.

da: «Vita di sant'Antonio» scritta da sant'Atanasio, vescovo (Capp. 24; PG 26, 842-846)

mercoledì 14 gennaio 2015

Mercoledì della I settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)






non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano

Gesù non cerca clamore!
Egli è venuto in mezzo a noi scegliendo la via più semplice, l’incarnazione.
Egli doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo

Il regno di Dio avviene senza troppo rumore!
Segno di questo avvento del Regno è la guarigione della suocera di Pietro: Egli ci ama per primo perché noi imparassimo ad amare.
Egli si mette a servizio della sofferenza dell’uomo perché l’uomo impari a mettersi a servizio della sofferenza di ogni altro uomo in nome di Colui che l’ha servito per primo!

È questo il Regno della misericordia.
Certo la sua opera si divulga: Tutta la città era riunita davanti alla porta
Ma egli non si faceva bloccare, ne dal demonio e nemmeno dalla folla che lo cercava perché Egli era venuto per tutti e senza ricerca di clamore.
«Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».

Il Regno non cerca il clamore! Il Regno cerca operatori di misericordia! Il Regno cerca fraternità e attenzione per tutti! Il Regno cerca cuori contemplativi che vivono il loro amore mistico nell’amore fraterno!
Solo così scacceremo e vinceremo il male che soffoca l’esplosione del Regno dei Cieli.




Concludo con quattro richiami di santità di questa giornata:
beato Odorico da Pordenone, apostolo della Cina, un pensiero a questa terra;
beato Devasahayam (Lazaro) Pillai, laico martire in India, un pensiero alla libertà religioso e al dialogo tra le religioni;




beata Alfonsa Clerici, religiosa monzese, educatrice della gioventù, un pensiero alla nuove generazione perché incontrino il Dio della Misericordia e della fraternità;




san Giuseppe Vaz, missionario in Sri Lanka, canonizzato oggi da papa Francesco, un coraggioso nel nome del Vangelo, pioniere della nuova evangelizzazione che tradusse Vangelo nelle lingue tamil e cingalese, un pensiero alla nuova evangelizzazione e alla rievagelizazione.
A loro, segno di Cristo che si fece tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso, affidiamo il cammino dell’umanità verso il compimento del Regno dei Cieli.
Amen.

mercoledì 7 gennaio 2015

La "Marietta" del Brasile




 
Nacque il 20 ottobre 1953 nel piccolo centro di Sítio Malhada da Areia, nel Rio Grande do Norte in Brasile. Sesta figlia di João Justo da Fé e Maria Lúcia, fin da piccola dimostrava grande religiosità. Dopo gli studi a Natal, curò il padre malato e, alla sua morte, Lindalva de Oliveira, a 33 anni, entrò nella Società delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli. Terminato il periodo di noviziato, venne inviata all'internato Dom Pedro II, a Salvador, Bahia, ricevendo il compito di coordinare un'infermeria con 40 anziani. La mattina del 9 aprile 1993, Venerdì Santo, partecipò alla Via Crucis. Di ritorno, servì la colazione agli anziani. Non aveva neanche iniziato il servizio che venne assassinata con 44 coltellate da Augusto Peixoto, uno dei pazienti. “Ho fatto ciò che dovevo fare perché non mi ha mai voluto”, dirà alla polizia che lo arresta. È stata dichiarata beata il 25 novembre 2007.

martedì 6 gennaio 2015

"..in sogno..": Epifania del Signore.


Sogno dei Magi
Chiesa di S. Mercuriale - Forlì


Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Cos’è un sogno? Un desiderio.
Voi avete un sogno?
Dio ha un sogno per noi?

La Parola di Dio ci propone tre sogni.

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.

Cioè sii luce, liberati da tutto ciò che è tenebra.
Noi non sogniamo di vincere per sempre il male?
Allora rivestiti di luce, parti da te, vinci prima il male che è in te, cerca con coraggio il bene.

Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

Chi non desidera che Gesù sia amato da tutti?
Quante volte ci domandiamo perché Gesù non fa un miracolo e cancella il male del mondo, così che tutti i popoli adorino solo Lui?
Comincia da te!
Adora nel tuo cuore Gesù! Adora con tutta la tua vita Gesù.
Fai come i Magi:
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono
Fai entrare nella tua casa – il tuo cuore – Gesù, e in esso adoralo, perché poi dal quel cuore pieno di Gesù risplenda la luce … cioè rivestiti di luce!

le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

Chi non sogna un mondo rinnovato?
Un mondo dove tutti sono partecipi della stessa felicità e gioia.
Dove ogni uomo e ogni donna formino un’unità d’amore di Gesù, si sentano gli uni parte degli altri e non divisi.
Dove tutti gioiscono nel vivere la promessa di un mondo nuovo secondo il Vangelo.

Ecco il sogno che dobbiamo sperare!
Che dobbiamo alimentare e condividere.

Oggi, giorno dell’Epifania, la Chiesa ci fa celebrare la Giornata dell’Infanzia Missionaria.

Lo scorso 22 novembre papa Francesco incontrava i partecipanti al IV Convegno missionario nazionale. A loro diceva:

La Chiesa italiana ha dato numerosi sacerdoti e laici fidei donum, che scelgono di spendere la vita per edificare la Chiesa nelle periferie del mondo, tra i poveri e i lontani. Questo è un dono per la Chiesa universale e per i popoli.

Anche la nostra città ha dato tanti missionari, tanti ancora si spendono ancora oggi in mezzo a noi – nel nascondimento - per portare la speranza del Vangelo nelle periferie umane ed esistenziali.
Occorro altri missionari così! Tutti siamo missionari …

Il papa dice a ciascuno di noi:
Vi esorto a non lasciarvi rubare la speranza e il sogno di cambiare il mondo con il Vangelo, con il lievito del Vangelo, cominciando dalle periferie umane ed esistenziali.

Questa è la luce che cercano, seguano e incontrano i magi.
Questa è la strada che dobbiamo percorrere ritornando alle nostre case, a scuola, a lavoro … lì dove viviamo ogni girono.
Amen.

lunedì 5 gennaio 2015

Un Abate della Bretagna





In Bretagna, san Convoione, abate, che fondò a Redon il monastero di San Salvatore, dove, sotto la sua disciplina e seguendo la regola di san Benedetto, i monaci fiorirono insigni per pietà e, dopo la distruzione del cenobio ad opera dei Normanni, costruì presso Saint-Maixent-de-Plélan un nuovo monastero, ove morì ottuagenario. (MR)

domenica 4 gennaio 2015

Ad un anno dalla canonizzazione ...





Lettera Decretale di Papa FRANCESCO
sulla Canonizzazione equipollente
della BEATA ANGELA DA FOLIGNO

L’incontro con la figura di san Francesco e, finalmente, l’incontro col Cristo Crocifisso risveglia l’anima per la presenza di Dio, per il fatto che solo con Dio la vita diventa vera vita, perché diventa, nel dolore per il peccato, amore e gioia: così parla a noi santa Angela da Foligno.
Queste parole, che concludevano la catechesi del nostro venerato predecessore Benedetto XVI il 13 ottobre 2010, costituiscono un ponte ideale tra la vicenda di una donna vissuta nel Medio Evo e il cammino che il Popolo di Dio è continuamente chiamato a compiere nella sua storia. Infatti la vita, la spiritualità e la cultura di Angela da Foligno testimoniano con chiarezza e coerenza il valore assoluto e intramontabile della profonda comunione con Dio, che rende possibile l’incontro con tutte le creature come opera del Creatore. Ella visse costantemente alla presenza del Signore, per accogliere senza esitazioni la sua volontà.
Nata a Foligno intorno al 1248 da una famiglia benestante, Angela rimase presto orfana di padre e fu educata dalla madre in modo piuttosto superficiale. A poco piú di venti anni, andò sposa a un maggiorente folignate, da cui ebbe vari figli. Angela è una donna bella, seducente, passionale e intelligente; conduce un’esistenza mondana, dissipata, assapora ogni gioia della vita e non si cura della salvezza della sua anima. Varcata la soglia dei trent’anni, si verificarono alcuni eventi, come il violento terremoto del 1279, un impetuoso uragano, la lunga guerra contro Perugia, che la costrinsero a una presa di coscienza della sua vita e a una maggiore riflessione. Nel 1285, toccata dalla grazia e da un’apparizione di San Francesco d’Assisi, decise di cambiare vita: fece la confessione generale e intraprese un cammino di penitenza e di conversione. Sospinta inizialmente dalla paura dell’inferno e dalla necessità del pentimento, trasforma man mano la sua vita in un’ascesa continua verso la santità per la via della croce e dell’amore fino all’unione totale con la Trinità.
Tre anni dopo, la decisione di percorrere il cammino della perfezione evangelica divenne definitiva e radicale, favorita anche dalla morte, avvenuta in breve tempo, della mamma, del marito e dei figli. Rimasta sola, si sentì pienamente libera di aderire a Dio; perciò, come aveva già fatto il nobile folignate Pietro Crisci, vendette tutti i suoi beni, ne distribuì il ricavato ai poveri e nel 1291 entrò nel Terz’Ordine di San Francesco, affidandosi alla direzione spirituale del frate francescano fra Arnaldo, suo concittadino e consanguineo. Nello stesso anno compì un pellegrinaggio ad Assisi, durante il quale sperimentò speciali doni mistici.
Dopo un periodo di grande penitenza e austerità, la Terziaria francescana, attraverso un intenso cammino spirituale, venne condotta da Dio alle più alte vette dell’esperienza mistica, fino a sperimentare l’inabitazione nella sua anima della Santissima Trinità. Tutte queste cose si trovano riflesse nel cosiddetto Libro della Beata Angela, la cui prima parte è il Memoriale messo in latino dal suo confessore fra Arnaldo da Foligno. In esso viene raccolta l’esperienza interiore di Angela, a partire dal momento della sua conversione fino al 1296. Il Documento fu approvato da otto teologi dell’Ordine Francescano e più tardi anche dal cardinale Giacomo Colonna. La seconda parte del medesimo libro è costituita dalle Instructiones che Angela dava ai suoi discepoli.
Conclusa la stesura del Memoriale, sembra che ci sia stata una diminuzione delle esperienze mistiche; infatti, negli ultimi anni della sua vita, la Beata, imitando la Vergine Maria di cui era particolarmente devota, sviluppò una speciale maternità spirituale, che la rese particolarmente nota nel mondo francescano. Raccolse, infatti, intorno a sé numerosi discepoli, provenienti da varie parti d’Italia e anche dall’estero, pronti ad accoglierne gli insegnamenti e i consigli spirituali. In tale insegnamento merita particolare attenzione la prudenza che impiegò nel distogliere i “frati del libero spirito” e i “fraticelli” dall’intransigenza e dagli estremismi.
Ben nota è anche la grande opera di assistenza caritativa svolta da Angela da Foligno. Assistette, infatti, sull’esempio di Francesco, i lebbrosi nell’ospedale della sua città. In ognuno di loro vedeva la persona di Cristo. Gli ultimi momenti della sua vita sono narrati in un racconto particolareggiato, che è conosciuto con il titolo di De felici exitu beatae Angelae. La Beata si spense santamente a Foligno il 4 gennaio 1309, circondata dall’affetto e dalla venerazione dei suoi figli spirituali.
Come sono i Vangeli per Gesù, così per Angela da Foligno, la sola fonte obbligata per conoscere la sua vita è il suo Liber. Così le parole e i fatti riferiti da questo preziosissimo Documento diventano i testimoni delle virtù della Beata, che rifulse anzitutto per la sua fede forte e luminosa, per la sua carità viva e ardente e per la sua speranza lieta e operosa. Molte volte nel Memoriale frate Arnaldo la chiama “fidelis Christi”, che significa sì la fedele di Cristo, ma soprattutto la “credente” che si affida totalmente al suo Signore, la convertita che vive con fede, gioia e fedeltà, colei che pone a fondamento della sua nuova esistenza la fede e l’amorosa unione con il Signore. Angela è la donna piena di fede, ma anche immagine “fedele” di Gesù Cristo e del suo stile di vita, espressione piena di quello che Dio voleva comunicare all’umanità al tempo di Angela, quindi profetessa nel senso più autentico della parola. Ai discepoli Angela insegna: «Si vis fidem, ora». A chi si apre alla verità e alla carità di Dio, la fede dà anche una forza straordinaria per affrontare ogni prova, compreso il martirio. Angela ha avuto questa forza arrivando a desiderare ardentemente – come confessa nel suo libro – una morte più spregevole di quella di Gesù Cristo. Ai suoi discepoli, che desiderano il dono della speranza, Angela prima consiglia di volgere lo sguardo verso Gesù Cristo crocifisso, che ha accettato le sofferenze della passione e l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre, e poi li invita perentoriamente a invocare tale dono nella preghiera: “si vis spem, ora”. L’Eucaristia, la preghiera, la contemplazione e la partecipazione alla vita soprannaturale della Chiesa la introdussero sempre più profondamente nell’amore di Dio che le fa sentire la sua presenza e tiene vivo in lei il desiderio di essere disprezzata dal mondo e di condividere l’umiliazione della croce. Parlando dei doni divini e in particolare della carità, piena di stupore si rivolge a Dio con queste parole: «O Summum Esse, fac me dignam intelligere istud donum quod est supra omne donum; quia omnes angeli et omnes sancti non habent aliud videre, nisi te videre amatum et amare te et te contemplari. O donum quod est supra omne donum, quia tu ipse es et es amor. O Summum Bonum, dignasti nos facere te amorem cognoscere, et facis nos amare talem amorem». Angela in tante visioni, estasi e locuzioni afferma di sentirsi bruciare d’amore per il suo Signore. Quanto all’amore per il prossimo ella invita ad amare, quasi in un abbraccio cosmico, ogni creatura razionale e non razionale e presenta l’amore di Dio come il modello a cui ispirarsi. L’amore verso tutti è vivamente raccomandato da Angela ai suoi discepoli anche alla vigilia del suo beato transito dalla terra al cielo. Nessuno può essere escluso da questo Amore, perché tutti sono figli dello stesso Padre e perciò fratelli e sorelle fra loro. Angela vive l’amore verso il prossimo bisognoso in modo così radicale che vende tutti i suoi beni per distribuirne il cospicuo ricavato ai poveri, mettendosi poi a servire con squisita tenerezza i lebbrosi. Donna forte e sapiente, Angela si distacca dalle cose del mondo per aspirare con tutte le sue forze alle cose di lassù, dove Cristo si trova assiso alla destra del Padre (cf. Col. 3,1). Intuisce che la scelta radicale della povertà è la via indispensabile per arrivare alla croce di Cristo. Tra le virtù che Angela è andata progressivamente acquisendo nel suo lungo itinerario di conversione, la castità è forse quella che, insieme con la povertà, ha maggiormente richiesto tagli dolorosi e aspre battaglie. A trentasette anni, sotto l’azione dello Spirito, inizia un percorso esistenziale radicalmente nuovo, legandosi come sposa a Cristo, a cui un giorno promette castità perfetta con un sorprendente gesto di spoliazione. Dopo l’incontro con il Signore si lascia umilmente prendere per mano da lui e condurre come un bambino verso traguardi inimmaginabili. L’umiltà è descritta da lei come la matrice delle altre virtù. Persino la prima virtù, la carità (insieme a tutte le altre), nasce dalla radice dell’umiltà. Angela contempla la kenosis del Figlio di Dio “umanato” e “passionato”, e con frequenza ne parla e si sforza di percorrere la stessa strada.
Tutto ciò mostra che Angela si colloca tra le mistiche più insigni.
Viene considerata come colei che, attraverso le differenti vicende della vita e il quotidiano esercizio delle virtù cristiane, ha raggiunto l’apice della perfezione evangelica, divenendo profetessa e maestra della vera scienza di Cristo compendiata nel mistero della Croce.
La Folignate è perciò considerata modello di un nuovo modo di rapportarsi a Dio e di parlare di lui, facendo una teologia basata sulla Parola di Dio, sull’obbedienza alla Chiesa, sull’esperienza diretta del divino nelle sue manifestazioni più intime. Infatti il testo del Liber, non si allontana mai dal vissuto personale, interpretato alla luce della divina sapienza.
Lungo i secoli il Liber, scrigno della vita di Angela, è stato universalmente stimato come fonte di itinerari spirituali da vivere e trasmettere ben oltre lo spazio spirituale francescano; se ne ritrovano manoscritti nei conventi benedettini e cistercensi ed è stato oggetto di studio durante la devotio moderna, dove lei è definita magistra theologorum.
Questa fontana di spiritualità zampilla ancora. Ancora oggi infatti esiste a Foligno un cenacolo di preghiera e spiritualità che raccoglie iscritti da tutto il mondo che guardano con religiosa ammirazione ad Angela.
L’immagine poi di una donna come Angela, diventata madre spirituale di molti chierici, valorizza la figura e la missione femminile.
Il suo vissuto di fede, rimanendo fedele alla tradizione viva della Chiesa, mostra un itinerario sorprendentemente moderno: la capacità di Angela in vita di rivitalizzare il cuore credente, com’è successo per Ubertino da Casale nel 1298 e molti altri suoi discepoli, assicura che ancora oggi la sua intercessione celeste possa essere foriera di conversioni e trasformazioni del cuore.
La vita e l’esperienza di Angela da Foligno, pertanto, si presta a mille approfondimenti ed è ricca di tanti spunti da poter essere considerata una vera e propria miniera. Così pensavano anche coloro che, dopo la morte di Angela, ne perpetuarono la memoria e ne coltivarono piamente la devozione, che nel corso del tempo si consolidò al punto da diventare un vero culto pubblico. Spontaneamente le venne attribuito sia dalle autorità ecclesiastiche e civili sia dai fedeli il titolo di Beata o di Santa in considerazione della solida fama sanctitatis et signorum da essa goduta nella famiglia francescana e nelle Diocesi di Foligno, dell’Umbria e di altre parti della Chiesa. In considerazione di queste cose il 7 maggio 1701 il Sommo Pontefice Clemente XI concesse all’Ordine dei Frati Minori Conventuali e alla città e diocesi di Foligno la facoltà di recitare l’ufficio divino della Beata. Non molti anni dopo, il 20 dicembre 1766 il Papa Clemente XIII aggiungeva la facoltà di celebrare la Messa della Beata. Successivamente fu chiesto più volte a questa Sede Apostolica di procedere alla canonizzazione di Angela, il cui nome risuonava sempre più spesso sulle labbra dei pastori della Chiesa, dei teologi e dei fedeli. Il Beato Giovanni Paolo II il 20 giugno 1993, pellegrino a Foligno, presso la tomba di Angela, disse: “Grandi meraviglie ha compiuto in te il Signore. Noi oggi, con animo grato, contempliamo e adoriamo l’arcano mistero della Divina Misericordia che ti ha guidato sulla via della Croce fino alle vette dell’eroismo e della santità”.
In seguito alle recenti suppliche in favore di una canonizzazione equipollente da parte dell’intera Famiglia Francescana dell’8 dicembre 2012 e della Conferenza Episcopale Umbra del 10 dicembre dello stesso anno, Sua Santità Benedetto XVI, nell’udienza del 20 dicembre 2012 al Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, l’Em.mo Card. Angelo Amato, concesse di procedere in questa direzione. Preparata la Positio super Canonizatione aequipollenti, ed essendo ampiamente attestata l’eroicità delle virtù e la fama signorum dalla quale è sempre stata circondata, il caso fu esaminato con esito positivo prima dai Consultori Storici, poi dai Consultori Teologi e infine dai Padri Cardinali e Vescovi radunati nella Sessione Ordinaria del 24 settembre 2013, essendo Ponente della Causa l’Em.mo Card. Angelo Amato, Prefetto della suddetta Congregazione. Nell’udienza di oggi lo stesso Cardinale Amato Ci ha dettagliatamente informati sullo status quaestionis e sui voti concordi dei Padri della Sessione Ordinaria.
Quindi, omnibus mature perpensis et certa scientia, dopo aver invocato l’assistenza divina, abbiamo ratificato la sentenza della stessa Congregazione ed abbiamo stabilito che il culto tributato a questa degnissima sposa di Cristo e valorosa discepola di San Francesco d’Assisi, da oggi in poi sia esteso a tutta la Chiesa. Pertanto, per la gloria di Dio, l’esaltazione della fede e l’incremento della vita cristiana, in forza della nostra autorità apostolica, decernimus che Angela da Foligno, dell’Ordine Francescano Secolare, è santa e che, come tale, va iscritta nel catalogo dei Santi e va piamente onorata e invocata tra i Santi della Chiesa universale.
Vogliamo, infine, che questa Nostra decisione sia ferma, immutabile e irrevocabile e auspichiamo che sia accolta con gioia e gratitudine sia dai Pastori che dai fedeli della Chiesa, i quali, contemplando la luce che emana dalle virtù e dalla sapienza spirituale di Santa Angela da Foligno, si accendano sempre più di amore per la Santissima Trinità e per Cristo Crocifisso e, cantando le lodi di Dio, in comunione con i Santi Apostoli Pietro e Paolo e tutti gli altri cittadini del cielo, possano avanzare alacremente sulla via della santità.
Dato a Roma, presso San Pietro, nell’anno del Signore 2013, il giorno 9 ottobre, primo anno del Nostro Pontificato.
FRANCESCO

Se non ritornerete ...





In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18, 1-4).

«Farsi bambini significa rinunciare alla superbia, alla sufficienza, riconoscere che, per imparare a camminare e perseverare nel cammino, da soli non possiamo nulla, ma abbiamo bisogno della grazia, del potere di Dio nostro Padre. Essere piccoli significa abbandonarsi come sanno abbandonarsi i bambini, credere come credono i bambini, pregare come pregano i bambini.
E tutte queste cose le impariamo nell’intimità con Maria. […] Poiché Maria è Madre, la sua devozione ci insegna a essere figli: ad amare sul serio, senza misura; a essere semplici, senza tutte le complicazioni che nascono dall’egoismo di pensare solamente a se stessi; ad essere allegri, sapendo che nulla può distruggere la nostra speranza. L’inizio del cammino che ha per termine l’amore folle per Gesù, è un fiducioso amore alla Madonna».

È questa la sconvolgente risposta di Gesù: per entrare nel Regno dei cieli la condizione indispensabile è il farsi piccoli e umili come bambini!
È chiaro che Gesù non vuole obbligare il cristiano a rimanere in una situazione di perpetuo infantilismo, di ignoranza soddisfatta, di insensibilità alle problematiche dei tempi. Tutt’altro! Però egli porta il bambino come modello per entrare nel Regno dei cieli per il valore simbolico che il fanciullo racchiude in sé.
Prima di tutto il bambino è innocente, e per entrare nel regno dei cieli il primo requisito è la vita di “grazia”, e cioè l’innocenza, mantenuta o riacquistata, l’esclusione del peccato, che è sempre un atto di orgoglio e di egoismo.
In secondo luogo, il bambino vive di fede, e di fiducia nei suoi genitori e si abbandona con totale disposizione a coloro che lo guidano e lo amano. Così il cristiano deve essere umile e abbandonarsi con totale fiducia a Cristo e alla Chiesa. Il gran pericolo, il gran nemico è sempre l’orgoglio, e Gesù insiste sulla virtù dell’umiltà, perché davanti all’infinito non si può essere che umili; l’umiltà è verità ed è anche segno di intelligenza e fonte di serenità.
Infine, il bambino si accontenta delle piccole cose, che bastano a renderlo felice; una piccola riuscita, un bel voto meritato, una lode ricevuta lo fanno esultare di gioia.
Per entrare nel Regno dei cieli bisogna avere sentimenti grandi, immensi, universali; ma bisogna sapersi accontentare delle piccole cose, degli impegni comandati dall’obbedienza, della volontà di Dio come si esprime nell’attimo che fugge, delle gioie quotidiane offerte dalla Provvidenza; bisogna fare di ogni lavoro, per quanto nascosto e modesto, un capolavoro di amore e di perfezione.
Bisogna convertirsi alla piccolezza per entrare nel regno dei cieli! Ricordiamo la geniale intuizione di Santa Teresa di Lisieux, quando meditò il versetto della Sacra Scrittura: “Se qualcuno è veramente piccolo, venga a me” (S. Teresa di Lisieux, Pr. 9,4). Scoprì che il senso della “piccolezza” era come un ascensore che più in fretta e più facilmente l’avrebbe portata alla vetta della santità: “Le tue braccia, o Gesù, sono l’ascensore che mi deve innalzare fino al cielo! Per questo io non ho affatto bisogno di diventare grande; bisogna anzi che rimanga piccola, che lo diventi sempre di più” (S. Teresa di Lisieux, Storia di un’anima, Manoscritto C, cap. X).
 

 
 

Buona domenica!