domenica 30 giugno 2013

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)





“Cristo ci ha liberati per la libertà!” (Gal 5)

Vivere la libertà in Cristo significa accogliere la propria vocazione con perseveranza – così mi sembra di poter rileggere la provocazione dell’Apostolo alla luce del Vangelo odierno - perché nella chiamata di Cristo c’è la libertà in quanto, la chiamato di Gesù, la vocazione è cammino di santità e la santità è pienezza di libertà.

Afferma Lumen Gentim al cap. 5,40, esortandoci al dovere della santificazione:
“È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l'esempio di lui e diventati conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo”

L’uomo e la donna che vivono la chiamata di Cristo come compimento della propria pienezza di vita sono liberi perché la libertà è obbedienza all’Amore. Nell’amore di Cristo non c’è schiavitù.

Gesù è geloso della nostra libertà. Infatti ai discepoli del Vangelo che voglio mandare un fuoco sui Samaritani che non lo voglio accoglierlo Egli “si voltò e li rimproverò”. Per Gesù è sacra la libertà dell’uomo, lui sa attendere con pazienza, senza forzare: e chiede altrettanto ai suoi discepoli verso il proprio prossimo, che un potenziale nuovo discepolo.

Lo afferma anche un cantautore italiano Filippo Neviani alias Nek, in una canzone, in cui afferma:

“lo sai che la mia dignità è la mia libertà”


 

Gesù non vuol proseliti, ma amanti, uomini e donne che si fanno amare da lui e nel’abisso del suo amore si trasformano in strumenti d’amore.

«Dio è amore e chi rimane nell'amore, rimane in Dio e Dio in lui» (1 Gv 4,16). “mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri” (Gal 5), “Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità” (Ef 3,17) “(viviamo) un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene…” (S. Agostino, Omelia 7). Cristo Gesù nell’Amore “ci ha liberati per la libertà”. Amen.

giovedì 27 giugno 2013

Sant'Arialdo, prega per noi!

Giovedì della XII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
S. Arialdo D. M.



"Nella storia della Chiesa ci sono state due classi di cristiani: i cristiani di parole – quelli “Signore, Signore, Signore” – e i cristiani di azione, in verità. Sempre c’è stata la tentazione di vivere il nostro cristianesimo fuori della roccia che è Cristo. L’unico che ci dà la libertà per dire ‘Padre’ a Dio è Cristo o la roccia. E’ l’unico che ci sostiene nei momenti difficili, no? Come dice Gesù: cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti, ma quando è la roccia è sicurezza, quando sono le parole, le parole volano, non servono. Ma è la tentazione di questi cristiani di parole, di un cristianesimo senza Gesù, un cristianesimo senza Cristo. E questo è accaduto e accade oggi nella Chiesa: essere cristiani senza Cristo.
Questi cristiani di parole……Cristiani che guardano il pavimento….E questa tentazione oggi c’è. Cristiani superficiali che credono, sì Dio, Cristo, ma troppo ‘diffuso’: non è Gesù Cristo quello che ti dà fondamento. Sono gli gnostici moderni. La tentazione dello gnosticismo. Un cristianesimo ‘liquido’. D’altra parte, sono quelli che credono che la vita cristiana si debba prendere tanto sul serio che finiscono per confondere solidità, fermezza, con rigidità. Sono i rigidi! Questo pensano che per essere cristiano sia necessario mettersi in lutto, sempre. 
Il fatto è che di questi cristiani ce ne sono tanti. Ma, non sono cristiani, si mascherano da cristiani. Non sanno  cosa sia il Signore, non sanno cosa sia la roccia, non hanno la libertà dei cristiani. E, per dirlo un po’ semplicemente, non hanno gioia…..I primi hanno una certa ‘allegria’ superficiale. Gli altri vivono in una continua veglia funebre, ma non sanno cosa sia la gioia cristiana. Non sanno godere la vita che Gesù ci dà, perché non sanno parlare con Gesù. Non si sentono su Gesù, con quella fermezza che dà la presenza di Gesù. E non solo non hanno gioia: non hanno libertà. Questi sono schiavi della superficialità, di questa vita diffusa, e questi sono schiavi della rigidità, non sono liberi. Nella loro vita, lo Spirito Santo non trova posto. E’ lo Spirito che ci dà la libertà! Il Signore oggi ci invita a costruire la nostra vita cristiana su Lui, la roccia, quello che ci dà la libertà, quello che ci invia lo Spirito, quello che ti fa andare avanti con la gioia, nel suo cammino, nelle sue proposte”.

(papa Francesco, Omelia, S. Marta, 27 giugno 2013)

Nella memoria del Santo che la Chiesa di Milano ci fa ricordare oggi, ammiriamo un uomo che ha cercato equilibrio e ha posto la sua libertà in Gesù.

Il suo biografo, il beato abate Andrea da Strumi, scrive:
"Come possono attestare tutti quanti sono vissuti in familiarità con Arialdo, la sua aspirazione e il suo impegno incessante non tendeva ad altro che a mettere in pratica tutto quanto leggeva nei sacri testi".

Ecco la roccia su costruire la fede, per non essere cristiani liquidi o cristiani rigidi: vivere il Vangelo di Gesù.

Nel Vangelo di Gesù, S. Arialdo è vissuto ed ha dato la vita, anche noi nel Vangelo di Gesù, la nostra roccia possiamo vivere, per essere gioiosi discepoli di Gesù.

S. Arialdo, prega per noi!
Amen.

domenica 23 giugno 2013

NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

(Messa della Vigilia)



Sacra Famiglia con San Giovannino
Parrocchia di S. Albino di Monza

Giovanni Battista è l’unico tra i Santi, oltre la Madre del Signore, del quale si celebra con la nascita al cielo – la morte - anche la nascita secondo la carne – il compleanno (se così possiamo definirlo!).

«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». (Ger 1)

Abbiamo ascoltato nel libro di Geremia.
La vocazione profetica del Battista, fin dal grembo materno è circondata di eventi straordinari, pieni di gioia messianica, che prepararono la nascita di Gesù.

Giovanni è il Precursore del Cristo con la parola e con la vita.
Il battesimo di penitenza che accompagna l’annunzio degli ultimi tempi è figura del Battesimo secondo lo Spirito.
La data della festa, tre mesi dopo l’annunciazione e sei mesi prima del Natale, risponde alle indicazioni di Luca.

Fu il più grande fra i profeti, perché poté additare l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.
Cosa impariamo dal Battista?
Il Battista ci insegna a essere servi del Regno di Dio, di fatti Egli vive una presenza ai bordi della storia della salvezza perché vuole indicare Colui che è l’atteso, Colui che è il centro.
La centralità di Gesù è l’annuncio del Battista.
Deve essere anche la nostra spiritualità.

Credo sia questa la forza di ogni discepolo e di ogni maestro che da discepolo deve accompagnare alla fede, perché il suo sguardo orienti verso Colui che è guardato.

“Fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù”. (Gv 1)

Questa è la vera libertà spirituale. Che deve accompagnare il nostre relazioni (sacerdoti e laici; genitori e figli; …)

Questo ci insegna San Giovanni Battista: la centralità di Cristo che fruttifichi in una piena libertà spirituale.
Amen.

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)



SS. Crocifisso
Parrocchia di S. Albino di Monza


Ho una domanda: Posso vivere per la fede?

Questa domenica siamo ad una svolta. Dopo aver scoperto che Gesù è pieno di misericordia, e dopo aver capito che egli accoglie la nostra umiltà come dimensione necessaria per vivere il perdono e convertire la nostra vita, oggi il Signore ci chiede:
ma io chi sono per te?
Sono necessario per la tua vita?
Cosa rispondi?
Rispondi di sì?

Allora cammina su i miei passi, accogli la pozione d’Amore – la Croce - che ti è data per vivere nel mondo, secondo la vocazione ricevuta; in questo amore strasformati a mia immagine e somiglianza, e in esso perditi: perché chi si perde nel mio amore si ritrova!
Solo in questo cammino capirai che ogni uomo è fratello e che la differenza non è divisione, ma se pur diversi siamo in comunione, perché come dice San paolo “tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. (Gal 3)

Cerchiamo l’unità in Gesù. Guardiamo a “colui che hanno trafitto”, dice il profeta Zaccaria.
Ed allora come afferma Benedetto XVI per la fede possiamo vivere!

“Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia”. (Porta Fidei, 13). AMEN!

venerdì 21 giugno 2013

San Luigi Gonzaga, prega per noi!





“Confesso che mi smarrisco
e mi perdo se considero
la Bontà divina,
mare senza sponde e
senza fondo”

(San Luigi alla madre Marta Tano, 10 giugno 1591)

giovedì 20 giugno 2013

Giovedì della XI settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)





“Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta. Temo però che, come il serpente con la sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo”. (2 Cor 11)

Paolo come sacerdote offre la sua comunità in sposa al Signore Gesù Cristo.
L’Apostolo vive così la sua paternità spirituale: condurre la comunità a lui affidata per l’annuncio del Vangelo ad essere fedele al suo Signore, come la casta sposa al suo sposo.

Questa è la gioia del’Apostolo, vedere che la gente a lui affidata è tutta del Signore.

«Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire». (Gv 3)

Questa è la sua gelosia, qui egli si fa umile perché vuole legare la sua comunità al vero Pastore, Gesù, come ci racconta nella I lettura.
Egli è consapevole della fatica della fedeltà della sua comunità.
“il serpente con la sua malizia sedusse Eva”, la Chiesa, la nuova Eva, madre dei viventi, è sempre in balia della seduzione del serpente.
Non tanto sulla via del male, ma nella ricerca del falso bene: “così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo”.

Ed allora per essere forti e tutti di Gesù, la risposta è la preghiera.

Una preghiera nuova, dice il Signore Gesù, non come quella dei pagani che pregano con le parole - con tante parole - divinità che in realtà dice il Salmo 115 e 135: “Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono”, quasi che il pagano devo nel suo pregare sopperire al mutismo della divinità.
Il nostro Dio, vede e sente: Egli è la Parola fatta carne, Egli è colui che vede oltre il visibile perchè è Sapienza eterna incarnata.

Ecco che allora Gesù, Maestro e Signore, insegna ai suoi discepoli una preghiera che però è un stile, non soltanto un modo di pregare. Eccola:

Padre nostro che sei nei cieli,
- la preghiera è sempre al Padre, lui è il datore di ogni cosa.
sia santificato il tuo nome,
- la preghiera chiede sempre per rendere gloria a Dio, io santificandomi santifico il suo nome;
venga il tuo regno,
- la preghiera chiede sempre per realizzare il Regno di Dio, quindi il suo progetto di bene non il mio piccolo bene
sia fatta la tua volontà,
- la preghiera chiede sempre affidandosi alla volontà di Dio, come Gesù nell’orto degli ulivi.
come in cielo così in terra.
- la preghiera chiede sempre che la terra diventi Cielo, cioè tutta abitata dalla gloria di Dio.

Poi la preghiera diventa richiesta, supplica:

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
- la preghiera chiede per il quotidiano, il futuro è in mano a Dio
e rimetti a noi i nostri debiti
- la preghiera è stare nella misericordia di Dio, ed in essa si alimenta
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
- la preghiera è donare misericordia di Dio, a misura di quella ricevuta
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male:
- la preghiera è affidamento alla potenza liberatrice di Dio che non ci abbandona (non ci induce, noi diciamo! Questa è la nuova traduzione del lezionario, che non è usata come preghiera liturgica, ma come Parola proclamata!), ma ci sostiene e li libera dal male con la Croce e la Resurrezione di Gesù
Amen.

mercoledì 19 giugno 2013

Santi Gervasio e Protasio, martiri





“Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni.

Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47).

Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori.

Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19).

Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati”. (Porta Fidei, 13)

Così suonano le parole di Papa Benedetto nel documento di indizione all’Anno della Fede.

Oggi nella festa dei Santi Martiri Gervasio e Protasio – martire vuol dire testimone - celebriamo la fede che ha testimoniato la verità del Vangelo.

Una fede che li aveva trasformati e resi capaci di vivere il dono del martirio.

Le notizie più antiche sui santi Gervaso e Protaso risalgono al 386, anno del ritrovamento dei loro corpi a Milano ad opera di s. Ambrogio. Il 7 giugno 386, nella zona cimiteriale di Porta Vercellina (nell'area compresa tra la basilica di S. Ambrogio, l'Università Cattolica e la caserma Garibaldi), nel sottosuolo antistante la basilica cimiteriale dei SS. Nabore e Felice, s. Ambrogio fece operare uno scavo: vi si trovarono i corpi dei due martiri il cui ricordo era andato praticamente perduto nella Chiesa di Milano.

Questo ritrovamento risveglia la fede dei nostri avi, che in quel momento vivevano la fatica della testimonianza cristiana a causa della lotta intestina con gli ariani.

Come ci ricorda la prima lettura, il martirio appare come una sciagura, in quando muoiono dei giusti, ma “essi sono nella pace”.
Possano intercedere per la pace della Chiesa i santi e gloriosi Martiri Gervasio e Protasio.
 

Loro figli di santi coniugi cristiano, Valeria e Vitali, possa intercedere la pace nelle famiglie e dalle famiglie nella società: possa essere intercessori della pace di Cristo.
“Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace",non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unita e pace secondo la tua volontà”.
I Martiri sembrano senza speranza, senza desiderio di vita, ma il realtà il loro martire, morire come amici di Cristo ci insegna chela loro speranza resta piena d’immortalità”.
Intercedano per la nostra speranza i Santi Martiri.
Ci faccio scorgere che la nostra speranza è Cristo: oggi e sempre!

Afferma ancora la I lettura: “li ha trovati degni di sé”.
L’intercessioni dei Santi Martiri ci sproni ad una vita nella fede in cui il Signore ci riconosca degni di Lui.
Il Signore ci liberi da ogni ipocrisia della fede: ci renda per grazia testimoni loquaci, non a parole ma in opere. Non perché facciamo tante cose da cristiani, ma perché in quello che facciamo si deve vedere che siamo cristiani, cioè testimoni del Crocifisso risorto.

Concludo con papa Benedetto:

“Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia”. (Porta Fidei, 13). AMEN!

domenica 16 giugno 2013

XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)



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«La tua fede ti ha salvata;
va’ in pace!»
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“se questo fosse troppo poco” (2 Sam 12)

Natan, voce al servizio di Dio, fa notare ciò che il Signore ha dato a Davide. Il re d’Israele ha avuto tutto, ma sembra che la sua ingordigia non ha fine, egli per avere, trasgredisce la parola del Signore:
“Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi?”. (2 Sam 12)
Il peccato è allora desiderio di avere?
Ricerca errata di felicità. Quando sono infelice sono più propenso al peccato?
Il peccato è una via semplice di ricerca di un bene, di un falso bene…. Lo dicevamo domenica scorsa.

Il peccato di Davide lascai un segno: “la spada non si allontanerà mai dalla tua casa” (2 Sam 12), Davide alimenta il peccato di Caino.
Anche noi con i nostri peccati, alimentiamo il mistero del male nella “tua casa”.
Il termine casa qui va letto non tanto nel senso a noi comune, qualcosa di privato, la casa è la stirpe, la generazione, l’umanità generata da quella radice a cui appartiene anche Davide.
Difatti dirà il Signore per mezzo del profeta a Davide:
“Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d'uomo e con percosse di figli d'uomo, ma non ritirerò da lui il mio amore …”. (2 Sam 7)

In questo brano del II libro di Samuele – capitolo 7, oggi siamo al capitolo 12 - si legge già la promessa di fedeltà di Dio. Egli guarda sempre con amore!
Aspetta solo un cenno di corrispondenza a questo amore per concedere il perdono.

“Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato…” (2 Sam 12)
A questa pagina fa eco il Vangelo con la scena dell’unzione nella casa di Simone.
“Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco»”. (Lc 7)
Una scena di grande umiltà.
Umiltà!
È la virtù dell’Incarnazione. Gesù che è Dio si fece umile assumendo la condizione di uomo. È la via dell’Amore.
L’umiltà è la virtù in cui Gesù si riconosce in noi, noi che siamo fatti a sua immagine e somiglianza, e di fronte alla nostra umiltà, il Signore, scioglie il suo cuore:
“Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati»”.  (Lc 7)

Attenzione però. L’umiltà cristiana non dovrebbe mai avere a che fare con una (falsa) bassa opinione di sé stessi; l'umiltà è la via dell’agape, ciò dell’amore puro, come dice papa Benedetto XVI “espressione per l'amore fondato sulla fede e da essa plasmato”. (Deus Caritas Est, 7).

Detto questo si capisce il passaggio del dialogo tra la donna e Gesù:
“Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!»”.

La fede ha generato l’umiltà, che fondata e plasmata dalla medesima fede, ha accolto la salvezza: cioè l’ha liberata dal peccato, donandole la vera felicità, indirizzando il cuore al vero amore, quello che nasce dalla fede. Dando al cuore la pace!

“La fede ci fa accogliere il comandamento del Signore e Maestro; la carità ci dona la beatitudine di metterlo in pratica (cfr Gv 13,13-17)”. (Benedetto XVI)

Infine, la II lettura.
“l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo”. (Gal 2)
La salvezza è quindi conseguenza dell’orientamento della mia ricerca di felicità per mezzo della fede: la fede in Gesù mi salva, cioè mi rende pienamente felice “già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”. (Mc 10,30)
Amen.

venerdì 14 giugno 2013

Venerdì della X settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)


INRI
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"Abbiamo un tesoro in vasi di creta"
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JHS

1
“Fratelli, noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi”. (2Cor 4)

Parole meravigliose quelle di San Paolo. Egli è consapevole della propria fragilità, si conosce infatti bene, sa chi era e sa chi è.
Ma Egli è convinto che attraverso la nostra umanità il Signore manifesterà la sua potenza. Infatti è nella strada della fragilità della carne, l’Incarnazione, che Dio ha scelto la via in cui manifestare la sua straordinaria potenza.

Pensate alla storia della Chiesa: non è attraverso l’umanità di tanti uomini e donne, che noi chiamiamo Santi, che si è manifestata la gloria di Dio. Credete che i Santi fossero più bravi noi? Essi erano vasi di creta, come noi, ma hanno scelto di essere riempiti di Dio per manifestare così la straordinaria sua potenza.
Scrivo infatti l’Apostolo Paolo a Timoteo:
“In una casa grande però non vi sono soltanto vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di argilla; alcuni per usi nobili, altri per usi spregevoli. Chi si manterrà puro da queste cose, sarà come un vaso nobile, santificato, utile al padrone di casa, pronto per ogni opera buona”. (2 Tm 2,20ss)

Noi nella casa di Dio tra gli uomini, la Chiesa, siamo vasi di creta pronti e disponibili per ogni opera buona affinché si manifesti che apparteniamo a Dio.

2
“In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale”. ( 2Cor 4)

Ecco la Chiesa, noi: un popolo tribolato, sconvolto, perseguitato, colpito, che porta ovunque la morte di Cristo perché nella debolezza del corpo appaia la grandezza del Capo: perché nella nostra vita e con la nostra vita si manifesti la vita di Gesù.
“Gesù, ama col mio cuore, io amo col tuo; parla con la mia lingua, o Gesù; pensa con la mia mente, benedici con le mie mani, cammina coi miei piedi, soffri con le mie membra.”. (Padre Mario Borzaga).

Un popolo, la Chiesa, noi, che non può essere schiacciato, disperato, abbandonato, ucciso, perché esso si regge sulla Croce di Cristo affinché nella Croce risplenda la Resurrezione.

Infatti dice l’Apostolo Paolo ai Corinzi: “convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi”. ( 2Cor 4)

3
Un popolo, la Chiesa, noi, che mira alle alte vette, perché così gli viene chiesto dal suo Signore. Già lo diceva il Vangelo di ieri.
Gesù chiede un misura alta della vita: “se la vostra giustizia non supera…”, la formalità o il perbenismo. Non basta non uccidere, rispettando il comandamento, bisogna amare, rispettare il fratello.
Bisogna cercare sempre il giusto nelle relazioni fraterne, ma non secondo il proprio senso di giustizia, ma secondo la giustizia di Dio.
Oggi è il caso specifico del matrimonio.
“Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico….” (Mt 5)

Gesù non accetta nessuna possibilità di infedeltà. L’immagine della nozze è un’immagine sacra al Signore: è l’unione che lo unisce al suo popolo la Chiesa. Egli è lo sposo e la Chiesa è la sposa.

Qui ben ci stanno le parole dell’Evangelista Giovanni:
«Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire». (Gv 3)
Ecco la nostra gioia sarà piena se nel nostro vaso di creta togliamo “il mio” e mettiamo “il tuo”: “Gesù, ama col mio cuore, io amo col tuo”.

Gesù poi nel Vangelo odierno prosegue donandoci un suggerimento di perfezione:
“Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te …”. (Mt 5)
A tal proposito mi sovviene alla mente un episodio della vita di Sant’Antonio da Padova, la cui memoria era ieri.

È Il miracolo del piede.
Un grande stupendo miracolo fu causato da una confessione. Un uomo di Padova, di nome Leonardo, una volta riferì all'uomo di Dio, tra gli altri peccati di cui s'era accusato, di avere percosso con un calcio la propria madre, e con tale violenza da farla cadere malamente per terra. Il beato padre Antonio, che detestava fieramente ogni cattiveria, in fervore di spirito e in aria di deplorazione, commentò: "Il piede che colpisce la madre o il padre, meriterebbe di essere tagliato all'istante".

Quel sempliciotto, non avendo capito il senso di tale frase, nel rimorso per la colpa commessa e per le aspre parole del Santo, tornò in fretta a casa e subito si recise il piede. La notizia di una punizione tanto crudele si diffuse in un baleno per tutta la città, e fu riportata al servo di Dio. Il quale si recò difilato da colui e, premessa un'angosciata devota orazione, congiunse alla gamba il piede mozzato, facendovi il segno della croce.

Cosa mirabile! Non appena il Santo ebbe accostato il piede alla gamba tracciandovi il segno del Crocifisso, passandovi sopra dolcemente per un poco le sue sacre mani, il piede di quell'uomo restò inserito nella gamba così celermente, che tosto colui si alzò allegro e incolume, e si mise a camminare e saltare, lodando e magnificando Dio e rendendo grazie infinite al beato Antonio, che in maniera così mirabile lo aveva risanato (Benignitas 17,36-40).

Alla fine cosa impariamo dal suggerimento evangelicaoe dal racconto:
“u devi giudicare te stesso e, trovandoti distorto, non lusingarti ma correggerti, diventando dritto, in modo che ti piaccia Dio, il quale è retto. In effetti, Dio, che è retto, non piace a chi è tortuoso. Vuoi che ti piaccia colui che è retto? Sii retto!”
(S. Agostino, Discorso 49)

4
infine. Il Vangelo di oggi torno sul tema del matrimonio, senza nessuno sconto.
C’è solo una questione che Gesù pone come elemento di novità, valida anche per la prassi della Chiesa sulla nullità del matrimonio, afferma il Vangelo: “eccetto il caso di unione illegittima”. (Mt 5)

Che significa?
Che un matrimonio è nullo, non valido, perché celebrato in modo illegittimo.
Entriamo qui nel Diritto Canonico. Per farla semplice ci sono diversi elementi di nullità: sulla persona e sulle sue opere (che il Diritto chiama “comportamento delittuoso”). Tra i primi: l’età, l’impotenza assoluta e perpetua; un vincolo matrimoniale ancora sussistente di un precedente matrimonio valido; l’Ordine sacro o voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso; la disparità di culto.
Tra i secondi: il rapimento a scopo di matrimoni e il crimine, cioè l’uccisione di un coniuge per sposarne un altro.
Questi elementi – e molti altri che qui non elenco – delineano un matrimonio non legittimo e quindi nullo, per cui la Chiesa, in obbedienza al Vangelo, può definire la nullità del matrimonio fin dall’origine, cioè dalla sua celebrazione.
“La grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio”. (2Cor 4). AMEN.

giovedì 13 giugno 2013

Giovedì della X settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Sant’Antonio da Padova

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Deh, ascoltate, o amato Santo,
per amor del Dio bambino la mia prece
ed il mio pianto, che io verso a Voi vicino.
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“se il nostro Vangelo rimane velato” (2 Cor 3-4)


Con questa frase l’Apostolo Paolo annuncia l’inefficacia dell’annuncio del Vangelo per coloro che non lo voglio accogliere.

A tal proposito l’Apostolo usa due immagini: il velo e lo specchio.
La nostra vita deve essere un volto scoperto, non velato, non nascosto, un cuore non sotto velo, ma libero per mostrare come uno specchio il Signore Gesù.
Noi siamo lo specchio in cui Gesù si specchia. E cosa accade a chi si specchia? Che rivede la sua immagine. Noi siamo a sua immagine, fatti a sua immagine e somiglianza, per cui Egli, Gesù deve rispecchiarsi in noi e noi in lui: “rifulse nei nostri cuori” (2 Cor 3-4). Gesù deve risplendere nel nostro cuore, Gesù deve risplendere nel nostro volto, nella nostra vita.
Ogni Santa Comunione deve essere sostegno a questa trasformazione, a questa immedesimazione, a questa pienezza!
Pienezza della vita cristiana è ritrovare tutto Gesù in noi: Gesù, ama col mio cuore, io amo col tuo; parla con la mia lingua, o Gesù; pensa con la mia mente, benedici con le mie mani, cammina coi miei piedi, soffri con le mie membra.”. (Padre Mario Borzaga).

“se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. (Mt 5)

Gesù chiede un misura alta della vita: “se la vostra giustizia non supera…”, la formalità o il perbenismo. Non basta non uccidere, rispettando il comandamento, bisogna amare, rispettare il fratello.
Bisogna cercare sempre il giusto nelle relazioni fraterne, ma non secondo il mio senso di giustizia, ma secondo la giustizia di Dio.
Ma cos’è la giustizia di Dio? Risponde S. Agostino.
“La giustizia è l'opera di Dio.
Ma ecco - dirai - dal Signore abbiamo udito: Questa è l'opera di Dio: credere in lui; da te invece abbiamo udito che opera di Dio è la giustizia. Dimostraci che credere in Cristo sia, proprio questo, la giustizia.
Operate la giustizia, credete! Il giusto vive di fede. È difficile che viva male colui che crede rettamente. Credete con tutto il cuore, credete non zoppicando, non esitando, non argomentando contro la fede sulla base di congetture umane. È stata da lui chiamata fede perché ciò che si dice si fa. Quando si pronuncia la parola "fede" si ode il suono di due sillabe: la prima deriva da fare, la seconda da dire. Ti domando dunque: Credi tu? Mi rispondi: Credo. Fa' ciò che dici, e questo è già fede.
Riguardo al giudizio, … che tu devi giudicare te stesso e, trovandoti distorto, non lusingarti ma correggerti, diventando dritto, in modo che ti piaccia Dio, il quale è retto. In effetti, Dio, che è retto, non piace a chi è tortuoso. Vuoi che ti piaccia colui che è retto? Sii retto!
Voglio dirvi delle cose che sono frequentissime in mezzo agli uomini. Succede a volte che, avendo tu un amico carissimo, un terzo, che era amico comune di tutt'e due, diventi nemico dell'altro.
E per questo motivo vorresti che io divenga nemico del tuo nemico? Debbo piuttosto essere nemico del tuo vizio. Colui del quale tu vorresti rendermi nemico è un uomo. Un altro è il tuo nemico, del quale anch'io, se son tuo amico, debbo essere nemico. Ti ribatterà: Ma chi è quest'altro mio nemico? Il tuo vizio. Ed egli ancora: Qual è il mio vizio? L'odio che ti fa odiare il tuo amico. Sii dunque simile a un medico. Il medico non amerebbe l'ammalato se non odiasse la malattia. Per liberare il malato, si accanisce contro la febbre. Non amate i vizi dei vostri amici, se amate gli amici stessi.
Ma io che predico eseguo forse le cose che predico? Miei fratelli, le eseguo se prima le attuo in me stesso; e le attuo in me stesso se dal Signore ricevo [il dono di attuarle]. Ecco, le eseguo: odio i miei vizi, offro il mio cuore al mio medico perché lo risani; gli stessi vizi per quanto mi è possibile perseguito, ne gemo, riconosco che sono in me ed, ecco, me ne accuso. Tu che vorresti rimproverarmi, correggi te stesso. La giustizia è infatti questa: che non ci si possa dire: Vedi la pagliuzza nell'occhio di tuo fratello e non vedi la trave che è nell'occhio tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi vedrai di togliere la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello.
Amate dunque la giustizia e non nutrite odio se non contro i vizi. Quanto alle persone, amate tutti. Se vi comporterete così e praticherete questa giustizia, preferirete cioè che gli uomini, anche se viziosi, siano piuttosto risanati che non condannati, compirete opere buone nella vigna [del Signore]. Occorre però che a questo vi esercitiate, o miei fratelli.
Ecco, terminato il discorso … Si giungerà al momento della preghiera. Voi sapete dove si giungerà. Che diremo a Dio in antecedenza? Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori.
Ma la tua anima non vuol perdonare, e si rattrista perché le dici di non portar odio. Rispondile: Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Perché mi turbi?, o: Perché sei triste? Non odiare per non portarmi alla perdizione. Perché mi turbi? Spera in Dio. Sei nel languore, aneli, ti opprime l'infermità. Non sei in grado di liberarti dall'odio. Spera in Dio, che è medico. Egli per te fu sospeso a un patibolo e ancora non si vendica. Come vuoi tu vendicarti? Difatti in tanto odi in quanto ti vorresti vendicare. Guarda al tuo Signore pendente [dalla croce]; guardalo così sospeso e quasi in atto d'impartire ordini dall'alto di quel legno-tribunale. Guardalo mentre, sospeso, prepara a te malato la medicina ricavata dal suo sangue. Guardalo sospeso! Vuoi vendicarti? Lo vuoi davvero? Guarda a colui che pende [dalla croce] e ascolta ciò che dice: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. (S. Agostino, Discorso 49).

Concludo con una preghiera a Sant’Antonio:
Sant'Antonio mio beato, pura gemma di splendore, del Bambino che Vi è a lato ottenetemi il favore.

E qual'è il favore? Una vita che mostra col cuore e nel volto il Signore Gesù. Una vita che cerca le alte vette del vivere, una vita giusta che cerca la giustizia di Dio. Amen.

Deh, ascoltate, o amato Santo, per amor del Dio bambino la mia prece ed il mio pianto, che io verso a Voi vicino.
Amen