sabato 26 maggio 2012

S. Francesco di Paola: «La Beata Candida è un ''falso''»







Santa Candida Martire Romana
venerata a Milazzo (ME)
«Un’antichissima ed ininterrotta tradizione milazzese ci consegna la figura di Candida, venerata con il titolo di Beata, il cui corpo si conserva presso il Santuario di San Francesco da Paola in Milazzo. Giovane milazzese vissuta nel XV secolo, sarebbe stata una delle prime discepole di San Francesco da Paola, avendo avuto il privilegio di conoscere il Santo durante il suo soggiorno a Milazzo, protrattosi tra il 1464 e il 1468». Così il noto sito internet santiebeati.it riporta fedelmente la tradizione tramandatasi di padre in figlio nella nostra città. Chi, entrando nel Santuario, non rivolge la propria devota preghiera a quella donna minuta e pia che ebbe la fortuna di apprezzare da vicino le doti straordinarie del Santo di Paola?



Oggi un interessantissimo articolo di don Damiano Grenci, studioso di agiografia ed iconografia della santità cristiana, mette in discussione questa consolidata tradizione, suscitando nei Milazzesi non poca sorpresa. Secondo Don Grenci, infatti, il corpo racchiuso nella venerata teca va identificato piuttosto con quello di una Martire delle catacombe di S. Ciriaca in Roma, traslato a Milazzo nel XVIII secolo, come attesta peraltro chiaramente un’antica certificazione di autenticità delle reliquie sottoscritta dal Vescovo di Porfiria nel 1784 e pubblicata qualche decennio fa nella monografia sul Santuario scritta da Vincenzo Messina ed edita dalla Spes del prof. Peppino Pellegrino. Una Martire dei primi secoli della Chiesa di Roma, dunque, non una contemporanea milazzese del Santo di Paola. Candida Martire e non Beata Candida. Un abbaglio attestato peraltro dalla palma tenuta in mano dalla stessa Candida (la palma simbolo del martirio) e, tra l’altro, dalla fattura dell’abbigliamento, identico a quello che riveste i corpi di altri martiri i cui resti sono oggi custoditi in diverse chiese d’Italia e d’Europa (don Grenci cita, ad esempio, il corpo santo di Clementina a Castelguidone, le cui reliquie furono autenticate con un documento identico a quello rilasciato per la Martire di Milazzo nel 1784). L’articolato intervento di don Grenci, che da qualche tempo circola sul web (a tal proposito ringrazio per la segnalazione l’amico Salvatore Salmeri, pescatore di Vaccarella da sempre attento alle tradizioni ed al folklore del rione marinaro), è consultabile online al sito cartantica.it.

MASSIMO TRICAMO da oggimilazzo.it





Beato Pietro To Rot, marito e padre modello







Petro ToRot layperson of the archdiocese of Rabaul; married, born: ca. 1912 in Rakunai, East New Britain (Papua New Guinea), 07 July in Rakunai, East New Britain (Papua New Guinea) in odium fidei.
Pietro To Rot è un catechista della Papua Nuova Guinea, ucciso nel 1945 per essersi opposto alla poligamia; di lui quest’anno si celebra il centenario della nascita. Il vescovo di Rabaul, il bergamasco salesiano Francesco Panfilo, vescovo di Rabaul, propone:«Perché non riscoprire questa figura, marito e padre modello, proprio in vista del VII Incontro mondiale delle famiglie che avrà luogo a Milano?».
Il nome di To Rot a noi dice poco o nulla, ma per la Chiesa della Papua è un’autentica gloria locale: è, infatti, il primo beato di quella terra,elevato alla gloria degli altari, il 17 gennaio 1995 da Giovanni Paolo II.Non a caso, pochi giorni fa i vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone hanno compiuto un pellegrinaggio al santuario di Rakunai, paese natale del beato. E in estate sono previsti festeggiamenti per il giubileo che si terranno il 7 luglio, festa liturgica del beato.
Pietro nasce da uncapotribù tra i primi convertiti alla fede cattolica. Dal padre, Angelo, il giovane Pietro eredita le doti del leader, dalla mamma Maria - cristiana fervente - una sensibilità religiosa non comune. In queste caratteristiche, unite alla predisposizione per gli studi, c’è chi vede altrettanti “segni di vocazione” al sacerdozio e immagina di mandare il ragazzo a studiare in Europa. Ma il padre sceglie per Pietro un futuro laicale: a soli 21 anni Pietro Torot è già un catechista valido, prezioso collaboratore dei missionari. Nel 1936, a 24 anni, sposa Paula Varpit, una ragazza di 16 anni, anch’ella molto fervente.
«Ispirato dalla sua fede in Cristo, fu un marito devoto, un padre amoroso e un catechista impegnato, noto per la sua cordialità, la sua gentilezza e la sua compassione»:così nel 1995 papa Wojtyla parlava di Pietro To Rot, aggiungendo che egli «trattò sua moglie Paola con grande rispetto; pregava con lei ogni mattina e ogni sera. Per i suoi figli nutriva un profondo affetto e trascorreva con essi più tempo possibile». Ancora: il beato «aveva un’alta considerazione del matrimonio e, nonostante il grande rischio personale e l’opposizione, difese l’insegnamento della Chiesa sull’unità del matrimonio e sul bisogno di fedeltà reciproca».
Durante la seconda guerra mondiale, infatti, il suo villaggio, Rakunai, venne occupato dai giapponesi, i missionari finirono imprigionati, ma To Rot si assunse la responsabilità della vita spirituale dei suoi concittadini, continuando a istruire i fedeli, a visitare i malati e a battezzare. Quando, però, le autorità legalizzarono la poligamia, il Beato Pietro denunciò fermamente tale pratica. Commenta Giovanni Paolo II: «Egli proclamò coraggiosamente la verità circa la santità del matrimonio. Rifiutò di prendere la “via più facile” del compromesso morale. “Devo compiere il mio dovere come testimone nella Chiesa di Gesù Cristo”, spiegò. Non lo fermò il timore della sofferenza e della morte». Anche durante la prigionia Pietro rimane sereno, persino gioioso, finché viene ucciso con un’iniezione nel luglio 1945 da un medico giapponese.
Commenta mons. Panfilo. «Pietro To Rot, catechista e martire, fu un grande difensore della famiglia e del sacramento del matrimonio. Quest’anno nella diocesi di Rabaul stiamo celebrando il centenario anniversario puntando al rinnovamento della famiglia. E mi auguro che il VII incontro mondiale delle famiglie, in programma a Milano, rappresenti un’occasione per valorizzare questa figura».

AUTORE: Gerolamo Fazzini
FONTE: ZENIT.org