venerdì 30 novembre 2012

Novena all'Immacolata (2)





Beata colei che ha creduto nelle promesse del Signore. – Maria primeggia fra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. La sua beatitudine sta nell'essere attenta e fedele alla voce del Signore.
Chiediamo a Maria il dono dell'umiltà
per un gioioso servizio
a vantaggio
del bene comune

giovedì 29 novembre 2012

Novena all'Immacolata (1)





Maria , donna di fede. – In vista del compito straordinario di essere Madre del Signore, Maria ha ricevuto da Dio il grande dono di non essere intaccata dal peccato originale, mantenendo sempre così una fede pura e salda nelle sue promesse.
Chiediamo a Maria il dono della Fede
nelle difficoltà della vita quotidiana



* Fonte delle preghiere è... vedi link
** iconografia mariana di ogni giorno è della regione Calabria

lunedì 26 novembre 2012

L'abate di Fabriano: San Silvestro





Martirologio Romano, 26 novembre: Presso Fabriano nelle Marche, san Silvestro Gozzolini, abate, che, presa coscienza della grande vanità del mondo davanti al sepolcro aperto di un amico da poco defunto, si ritirò in un eremo e, dopo aver cambiato varie sedi per meglio isolarsi dagli uomini, fondò infine in un luogo appartato presso Montefano la Congregazione dei Silvestrini sotto la regola di san Benedetto.

domenica 25 novembre 2012

OMELIA XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo




La I lettura, del profeta Daniele, ci offre un’immagine che immediatamente di fa pensare a Gesù: “uno simile a un figlio d’uomo”.
Costui ha un potere donato gli dal “vegliardo” (il Padre). Il potere che ottiene è “un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto”.
La regalità di Cristo, come la sua venuta tra gli uomini – l’Incarnazione -, è opere di un potere che viene dall’alto, non è data dall’uomo.
In realtà l’uomo è chiamato a riconoscere questa regalità.
Ma oggi Cristo regna?

La II lettura, l’Apocalisse, ci propone quasi un testo liturgico in cui colpisce cadenzare nella parola AMEN, così sia, così avviene ed è avvenuto.

Il potere regale di Cristo è dato dal suo amare l’umanità, “ci ama” dice Giovanni, e questo suo amarci gli è costato la vita: “ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue”, afferma l’Apostolo.

Con quest’opera egli ha costituito il suo Regno: “noi - un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre”, afferma ancora l’Apostolo.
Allora lì dove c’è un cuore che corrisponde all’amore di Cristo, lì c’è il Regno di Dio.
Quindi, oggi Cristo regna?
Sì, se regna nel nostro cuore!

Ma la II lettura, continua, e ci propone il desiderio d’amore dl Padre: Cristo non vuole regnare solo su chi l’accoglie, ma su tutti “anche quelli che lo trafissero”, afferma ancora l’Apostolo.
Egli attende come Agnello mite e paziente la conversione di tutti:
“tutte le tribù della terra si batteranno il petto”
Quando ritornerà glorioso troverà un popolo desideroso di vederlo: “ogni occhio lo vedrà”.
Siamo in attesa di questa pienezza!

Infine. Il Regno di Dio, in Cristo Gesù, non è un regno secondo lo schema di questo mondo.
Se lo fosse, dice Gesù, “i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato …; ma il mio regno non è di quaggiù”.

Pensiamo a tutte le volte che Gesù fugge perché voglio farlo re secondo lo schema di questo mondo!

Tutto questo ci fa pensare che esiste una dimensione “alta” della vita, quella secondo il Regno di Dio, che non è di quaggiù.
Come accoglierla?
Come viverla?
Come permettere a Cristo di regnare?
Lo dice lo stesso Vangelo: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.




Questa solennità fu introdotta da papa Pio XI (Achille Ratti, il papa di Desio), con l’enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre 1925, a coronamento del Giubileo che si celebrava in quell’anno.
È poco noto e, forse, un po’ dimenticato, che non appena elevato al soglio pontificio, nel 1922, papa Pio XI condannò in primo luogo esplicitamente il liberalismo “cattolico” nella sua enciclica “Ubi arcano Dei”. Egli comprese, però, che una disapprovazione in un’enciclica non sarebbe valsa a molto, visto che il popolo cristiano non leggeva i messaggi papali – visto che erano anche in latino!. Qual saggio pontefice pensò allora che il miglior modo di istruirlo fosse quello di utilizzare la liturgia. Di qui l’origine della “Quas primas”, nella quale egli dimostrava che la regalità di Cristo implicava (ed implica) necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico: “Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici”. Dichiarava, quindi, di istituire la festa di Cristo Re, spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi”. Tale festività coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico, con ciò vuole farci capire che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e l’Omega, come canta l’Apocalisse. Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità. Alla domanda di Pilato: “Allora tu sei re?”, il Redentore rispose: “Tu lo dici, io sono re”. Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re. Egli solo, infatti, Dio e uomo – scriveva il successore Pio XII, nell’enciclica “Ad caeli Reginam” dell’11 ottobre 1954 – “in senso pieno, proprio e assoluto, … è re”.

Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati a condividere la sua regalità, se “ascoltano la sua voce” (Gv 18,37). È veramente re colui che la verità ha reso libero (Gv 8,32).


sabato 24 novembre 2012

Un pensiero ...





"Si può essere santi da fare miracoli ma,
se non si ha la carità,
non si andrà in paradiso"
San Giovanni Maria Vianney, "Curato d'Ars" (1786 –1859)

venerdì 23 novembre 2012

Venerdì XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)



San Clemente Romano, papa

Abbiamo appena ascoltato nella I lettura:
“«Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele».
Presi quel piccolo libro dalla mano dell’angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza”. (Ap 10)
A questa pagina fa eco un brano profetico di Ezechiele:
“Mi disse: «Figlio dell'uomo, alzati, ti voglio parlare». A queste parole, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.
Mi disse: «Figlio dell'uomo, io ti mando ai figli d'Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: «Dice il Signore Dio». Ascoltino o non ascoltino - dal momento che sono una genìa di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro. (…)
Figlio dell'uomo, ascolta ciò che ti dico e non essere ribelle come questa genìa di ribelli: apri la bocca e mangia ciò che io ti do». Io guardai, ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto da una parte e dall'altra e conteneva lamenti, pianti e guai. Mi disse: «Figlio dell'uomo, mangia ciò che ti sta davanti, mangia questo rotolo, poi va' e parla alla casa d'Israele». Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, dicendomi: «Figlio dell'uomo, nutri il tuo ventre e riempi le tue viscere con questo rotolo che ti porgo». Io lo mangiai: fu per la mia bocca dolce come il miele”. (Ez 2-3)
Alla luce di questa pagina possiamo capire che la parola di Dio di questa giornata ci vuole ricordare che essere di Cristo è dolcezza, ma è anche fatica.
Il libretto divorato è immagine del rapporto di relazione tra Dio e l’uomo: è dolce e gioioso. Immaginiamoci un incontro a tu per tu con Gesù: non sarebbe causa di una gioia immensa? Certo… ma dopo questo primo momento ci sarà chiesto di fare nostro quell’incontro, di assimilarlo, per poterlo testimoniare adeguatamente: ci viene chiesta una macerazione interiore, che può contrastare con la nostra stessa vita e con la nostra idea di Dio.
Ecco allora il gusto amaro nelle viscere.
Adorare è un momento dolce e gioioso che ci fa vivere una dimensione di intimità con Cristo.
Ma questa esperienza di preghiera deve anche scavare in noi per conformare la nostra vita a lui affinché tutta la nostra vita comunichi la presenza del divino.
È questa la testimonianza richiesta al profeta.
Ognuno di noi è chiamato alla profezia nel suo tempo e nel suo ambiente per essere segno di Colui che è il Primo, l’Ultimo e il Vivente.
La Chiesa oggi ci propone due testimoni: l’abate Colombano, segno profetico che è all’origine a quella “peregrinatio pro Domino”, che costituì uno dei fattori dell'evangelizzazione e del rinnovamento culturale dell'Europa; è il papa martire Clemente “che resse la Chiesa di Roma per terzo dopo san Pietro Apostolo e scrisse ai Corinzi una celebre Lettera per rinsaldare la pace e la concordia tra loro”.
La loro faticosa testimonianza, ma gioiosa e piena, sia di sostegno alla nostra. Amen.

giovedì 22 novembre 2012

Giovedì XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)



22 novembre, S. Cecilia v. m.


Cecilia è una delle sette donne martiri di cui si fa menzione nel Canone Romano.
Le altre sono: Felicita, Perpetua, Agata, Lucia, Agnese, e Anastasia
Ad essa è dedicata una basilica in Trastevere a Roma (sec. IV). Il suo culto si diffuse dovunque prendendo l’avvio da una «Passione» nella quale viene esaltata come modello di vergine cristiana. La sua memoria il 22 novembre è già celebrata nell’anno 546, come attesta il «Liber pontificalis» (sec. VI).

Far memoria nella liturgia eucaristica di questa corona di vergini e martiri – e degli altri santi del canone romano - è portare la mente e il cuore a quella profonda unione che c’è tra la Chiesa militante e la Chiesa trionfante: tra il Cielo e la terra.

Come dice l’Apocalisse essi intercedono con le loro preghiere davanti all’Agnello come fanno “i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi”.

La cetra nelle mani ci descrive prima ancora di leggere il testo che stanno proclamando nel canto un lode all’Agnello:
«Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra».

Anche noi siamo chiamati a dar lode all’Agnello perché ciascuno di noi è invitato in forza del nostro battesimo a offrire una vita santa e santificante, dice infatti il Salmo: “Hai fatto di noi, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti”.
Dice S. Agostino: “Elevi … un canto nuovo non la lingua, ma la vita”

Infine il Vangelo ci richiama che il tempo sta per finire, non c’è più tempo per capire quello che sta per accadere. Siamo sempre nella logica apocalittica di questi ultimi giorni dell’anno liturgico.
Al di là di ciò, c’è un richiamo alla testimonianza, si intravede la profezia della distruzione del Tempio, in cui siamo richiamati a comprendere che Gesù il nuovo Tempio, noi siamo il suo tempio: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?”, dirà Paolo ai Corinzi.
Gesù piange perché rattristato dalla durezza del cuore dell’uomo che non comprende e non accoglie: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi”.

Siamo al primo giorno della Sante Quarantore. La nostra permanenza di fronte all’Agnello che ci ha riscattato con il suo sangue sia come quella narrata dall’Apocalisse: di lode e di intercessione.
Offriamo al Signore la nostra adorazione perché ciascuno di noi, la Chiesa, l’umanità, possa accogliere e comprende che solo in lui, il Cristo, l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, troviamo la via, la porta, la strada per custodire la pace che l’umanità cerca e desidera.
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10)

mercoledì 21 novembre 2012

Un pensiero ...





"Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli"
Martin Luther King (1929 - 1968)

martedì 20 novembre 2012

Martedì XXXIII settimana del T.O. (Anno pari)






La liturgia di questi giorni è di puro gusto apocalittico: siamo alla fine dell’anno liturgico, che diventa anche fine del tempo, in cui tutto si ricapitolerà in Cristo: che celebreremo come “re dell’universo”.

Il libro dell’Apocalisse ci ha detto:
“Il vincitore sarà vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli”.

La fine dei tempi comporta una vittoria, uno è chiamato a schierarsi: di chi sono? A chi appartengo? Chi è custode e signore della mia vita? La mia vita che significato ha, o meglio avrà alla fine dei miei giorni: su che libro sarà scritta? Mi riconoscerà il Padre come figlio?

Domande queste che ci richiamano alla conversione, quella narrata nel Vangelo con l’esempio di Zaccheo: in lui vediamo ciascuno di noi, “piccolo di statura”, una statura umana che era anche la sua dimensione interiore: un piccolo uomo, un mezzo uomo, che contrasta con “il Figlio dell’uomo” che è Gesù: Zaccheo vuole vedere Gesù.

Riascoltiamo cosa abbiamo ascoltato dal libro dell’Apocalisse, e applichiamolo a Zacchero:
“Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista”.

Il desiderio di Zaccheo di vedere Gesù, diventa allora elevazione fisica: sale sull’albero, ma nella pagina evangelica si capisce che questo gesto sarà anche la sua nuova altezza: “alzatosi”, egli esce dalla sua bassa statura di uomo per essere un vero “figlio di Abramo” e di conseguenza di Dio.

Allora come Zaccheo convertiamoci: eleviamo le nostre bassezze umane alle altezze divine.




La memoria di oggi, quella del martire Samuele Marzorati, ci sprona ancora di più: un vero discepolo di Cristo, non solo eleva la sua umanità all’umanità santa di Gesù, ma testimonia il suo Signore e Maestro fino al dono di se.

Samuele Marzorati è nato a Biumo (Varese) nel 1670. Accolta la vocazione francescana, e fatto il cammino formativo, nel 1712 è Gondar, capitale dell’Etiopia, ma la situazione generale del regno etiope non era tranquilla, dopo poco e male accolti il missionario e i suoi confratelli furono processati, furono condannati a morte in “odio alla fede”: il 3 marzo 1716 furono lapidati. Il beato Giovanni Paolo II li beatificherà come martiri della fede cattolica il 20 novembre 1988 a Vienna, durante il suo viaggio apostolico.

Scrive il beato Giovanni Paolo II, nell’enciclica Ut Unum Sint: “Questi nostri fratelli e sorelle, accomunati nell'offerta generosa della loro vita per il Regno di Dio, sono la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo. … Nella sequela dei martiri, i credenti in Cristo non possono restare divisi”.

L’intercessione dei martiri di tutte Chiese giovi all’unità della Chiesa, alla santità di tutti i cristiani e alla realizzazione del Regno di Dio.

Termino con la conclusione dell’enciclica Ut Unum Sint:
“Io, Giovanni Paolo, umile servus servorum Dei, mi permetto di fare mie le parole dell'apostolo Paolo, il cui martirio, unito a quello dell'apostolo Pietro, ha conferito a questa sede di Roma lo splendore della sua testimonianza, e dico a voi, fedeli della Chiesa cattolica, e a voi, fratelli e sorelle delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, "tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi [...]. La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”.

lunedì 19 novembre 2012

San Gioele (Joèl) !?!?!?





Beato Gioele abate di Pulsano 
 
Gioele nasce  a Monte S. Angelo - Gargano - da nobile famiglia. Egli ancora fanciullo si reca contro la volontà dei genitori a Pulsano da san Giovanni da Matera tra gli Eremiti da lui fondati. Nel 1145 diventa abate di Pulsano, dopo la morte di san Giovanni  - fondatore - e del beato  Giordano - primo successore. Gioele governò la Congregazione con amore e passione, edificò anche la nuova Chiesa di Pulsano e trasporto il corpo del fondatore in Pulsano da san Giacomo di Foggia. Gioele chiede da papa Alessandro III l'approvazione delle Congregazione pulsanese, ma l'abate non vide questo evento perché muore il 21 gennaio 1177. Il Beato è sepolto a Pulsano nell'altare a lui dedicato. La memoria liturgica è il 25 gennaio secondo i calendari monastici.


San Gioele profeta

Il nome Gioele vuol dire: JHWH è Dio, dall’ebraico. La Chiesa latina celebra la memoria del profeta il 13 luglio, mentre la Chiesa greca il 19 ottobre.


Servo di Dio Gioele Anglés D’Auriac

Il servo di Dio è uno scout vittima per la fede della persecuzione nazista. Egli muore il 6 dicembre 1944. Nel 1992 la Conferenza Episcopale Francese ha iniziato il processo di beatificazione del servo di Dio insieme a altri 49 servi di Dio morti durante la persecuzione nazista degli anni 1944-1945.

domenica 18 novembre 2012

Santa Denis !?!





San Dionigi di Parigi, vescovo e martiri (DENIS)

Martirologio Romano, 9 ottobre: Santi Dionigi, vescovo, e compagni, martiri: si tramanda che san Dionigi sia giunto in Francia inviato dal Romano Pontefice e, divenuto primo vescovo di Parigi, morì martire nelle vicinanze di questa città insieme al sacerdote Rustico e al diacono Eleuterio.

Il nome Dionigi e la variante francese Denis e Denise, è di ampia diffusione, mentre Dionisio e Dionisia è molto raro.

sabato 17 novembre 2012

Cremazione e fede cattolica





La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti pubblicò nel 2002 il Direttorio su Pietà Popolare e Liturgia. All'interno del capitolo sulle esequie dedica due paragrafi alla cremazione: “Nel nostro tempo, tuttavia, anche per le mutate condizioni di ambiente e di vita, vige pure la prassi della cremazione del corpo del defunto. A questo riguardo la legislazione ecclesiastica dispone: "A coloro che avessero scelto la cremazione del loro cadavere si può concedere il rito delle esequie cristiane, a meno che la loro scelta non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana". In relazione a tale scelta, si esortino i fedeli a non conservare in casa le ceneri di familiari, ma a dare ad esse consueta sepoltura, fino a che Dio farà risorgere dalla terra quelli che vi riposano e il mare restituisca i suoi morti»”. I vescovi italiani riuniti nel novembre 2009 ad Assisi per la sessione della Conferenza Episcopale Italiana hanno approvato il testo del nuovo rito delle esequie, che riconosce la possibilità della cremazione. Non è vista positivamente la conservazione delle ceneri in case private e la dispersione in luoghi diversi. «La memoria dei defunti attraverso la preghiera liturgica e personale e la familiarità con il camposanto costituiranno la strada per contrastare, con un'appropriata catechesi, la prassi di disperdere le ceneri o di conservarle al di fuori del cimitero o di un luogo sacro. Ciò che sta a cuore ai Vescovi è che non si attenui nei fedeli l'attesa della risurrezione dei corpi, temendo invece che la dispersione delle ceneri affievolisca la memoria dei defunti, a cui siamo indelebilmente legati nella partecipazione al destino comune dell'umanità. »  Non è previsto il rito funebre con la presenza dell'urna contenente già le ceneri del defunto. La cremazione deve essere fatta quindi dopo la celebrazione del funerale.
Il sussidio della CEI afferma espressamente: «Avvalersi della facoltà di spargere le ceneri, di conservare l'urna cineraria in un luogo diverso dal cimitero o prassi simili, è comunemente considerato segno di una scelta compiuta per ragioni contrarie alla fede cristiana e pertanto comporta la privazione delle esequie ecclesiastiche (CDC, can. 1184, § 1, 2)»
La raccomandazione della Chiesa – sulla custodia delle ceneri nei cimiteri - è sostenuta da tre elementi: l’elaborazione del lutto, la relazione con il defunto e il rispetto del defunto. La custodia delle ceneri in casa può rendere più difficile l’elaborazione del lutto da parte dei parenti, in modo particolare del coniuge e dei figli/genitori. Inoltre la presenza in casa può essere vista come un aspetto di una tendenza preoccupante che si registra nella società: la possessività dei rapporti. Infine il rispetto del defunto: la presenza dell’urna cineraria può far dimenticare che lì c’è una persona, non è una cosa che la sposti da un luogo all’altro o gli appoggi sopra un altro oggetto o diventa un sostegno in libreria (gulp!). Poi, concludendo, chi custodirà l’urna alla morte del suo custode?
 

venerdì 16 novembre 2012

Un pensiero ...





Io vorrei che noi giurassimo
un patto
che non conosce
confini terreni
né limiti temporali:
l’unione nella preghiera

Pier Giorgio Frassati

giovedì 15 novembre 2012

Un pensiero ...





 "Non aprire il tuo cuore al primo che capita" (Sir 8,22); i tuoi problemi, trattali invece con chi ha saggezza e timore di Dio. Cerca di stare raramente con persone sprovvedute e sconosciute; non metterti con i ricchi per adularli; non farti vedere volentieri con i grandi. Stai, invece, accanto alle persone umili e semplici, devote e di buoni costumi; e con esse tratta di cose che giovino alla tua santificazione. Non avere familiarità con alcuna donna, ma raccomanda a Dio tutte le donne degne. Cerca di essere tutto unito soltanto a Dio e ai suoi angeli, evitando ogni curiosità riguardo agli uomini. Mentre si deve avere amore per tutti, la familiarità non è affatto necessaria. Capita talvolta che una persona che non conosciamo brilli per fama eccellente; e che poi, quando essa ci sta dinanzi, ci dia noia solo al vederla. D'altra parte, talvolta speriamo di piacere a qualcuno, stando con lui, e invece cominciamo allora a non piacergli, perché egli vede in noi alcunché di riprovevole.
(Imitazione di Cristo, VII)

mercoledì 14 novembre 2012

San Sonny !?!






Un film del 2002, Sonny.
Che nome strano… i film fanno sempre moda!
Se guardiamo i Santi,
il Santo che ha un nome da cui potrebbe derivare è il francese Saint Sonnace.

San Sonnazio vescovo di Reims, fu il ventesimo vescovo di questa città.

È vissuto nel VII secolo dopo Cristo.
Il giorno onomastico è il 20 ottobre oppure il 1 novembre (nome adespota)

martedì 13 novembre 2012

Santa Gigliola !?!




 

Sant' Egidio Abate

1 settembre
sec. VI-VII
Etimologia: Egidio = figlio di Egeo, nato sull'Egeo, dal greco
L'epoca in cui visse l'abate Egidio (in francese Gilles) non si conosce con precisione. Alcuni storici lo identificano con l'Egidio inviato a Roma da S. Cesario di Arles all'inizio del secolo VI; altri lo collocano un secolo e mezzo più tardi, e altri ancora datano la sua morte tra il 720 e il 740. La leggenda in questo caso non ci viene in aiuto, poiché tra i vari episodi della vita del santo annovera anche quello che viene illustrato da due vetrate e da una scultura del portale della cattedrale di Chartres, in cui è raffigurato S. Egidio mentre celebra la Messa e ottiene il perdono di un peccato che l'imperatore Carlo Magno (768-814) non aveva osato confessare a nessun sacerdote. La tomba del santo, venerata in un'abbazia della regione di Nimes, risaliva probabilmente all'epoca merovingica, anche se l'iscrizione non era anteriore al secolo X, data in cui fu anche composta la Vita del santo abate, intessuta di prodigi sul tipo delle pie leggende raccontate a scopo di edificazione. Tra le narrazioni che più hanno contribuito alla popolarità del santo vi è quella della cerva inviata da Dio per recare il latte al pio eremita, che viveva da anni rintanato in un bosco, lontano dal consorzio umano. Un giorno la benefica cerva incappò in una battuta di caccia condotta dal re in persona. Il regale cacciatore inseguì la preda, ma al momento di scoccare la freccia non si accorse che l'animale spaurito era già ai piedi dell'eremita. Così il colpo destinato al mansueto quadrupede ferì, seppur di striscio, il pio anacoreta. L'incidente ebbe un seguito facilmente intuibile: il re, divenuto amico di Egidio, si fece perdonare facendogli omaggio dell'intero territorio, sul quale più tardi sorse una grande abbazia. Qui il buon eremita, in cambio della solitudine irrimediabilmente perduta, ebbe il conforto di veder prosperare un'attiva comunità di monaci, di cui Egidio fu l'abbas, cioè il padre. Numerose sono le testimonianze del suo culto in Francia, Belgio e Olanda, in cui viene invocato contro il delirio della febbre, la paura e la follia.

GIGLIOLA deriva in parte da Gilio, Gilles (ovvero Egidio) ma anche da Lilius, che significa "bella come un giglio".

Appunti ... “nell’attesa della beata speranza ... ”



San Omobono
Chiesa San Michele - Cremona

Martedì della XXXII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Santa Francesca Saverio Cabrini
Sant’Omobono Tucenghi di Cremona


Nella I lettura di Paolo a Tito abbiamo ascoltato:
“Gli uomini anziani siano … Anche le donne anziane abbiano … Esorta ancora i più giovani a essere …”
A ciascuno è doto un ruolo, che ben chiama il Vangelo un servizio “nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”.

Questo servizio in attesa, è un’obbedienza: “avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato”, è l’obbedienza della fede, per il Regno.

Ciascuno ha la sua obbedienza.
Spesso nel servire, c’è la ricerca di una gratitudine immediata, però il Vangelo ci dice che questa pretesa deve essere dimenticata.
Gesù fu ringraziato quando come un servo obbediente morì in Croce?
Certo che no! Per giunta un suo compagno di sorte lo prese in giro.

Il servizio per il Regno chiede una grande libertà.
Certo, il nostro servire non finirà nel dimenticatoio, non sentiremo immediato il grazie, perché “abbiamo fatto quanto dovevamo fare”, però produrrà il suo frutto e avrà il suo grazie.

Ricordiamo la cantilena evangelica: “quando abbiamo fatto questo… quando non abbiamo fatto questo” della parabola del Regno.

Anche la santità che oggi ricordiamo, si colloca in questa scia.

Omobono Tucenghi di Cremona, fu un uomo che, senza privilegi di nascita o prestigio di funzioni, divenne quasi leggendario per levatura e bontà dello spirito; un uomo che condusse la sua vita tra il commercio, l'impegno politico e l'aiuto ai poveri.
Un cittadino molto popolare e amato. Si sposò ma non ebbe figli. Omobono e la moglie vissero sempre soli, accumulando ingenti patrimoni con il loro commercio, ma la sua nobiltà d'animo lo portava a usare il denaro guadagnato col commercio per la carità. La sua generosità divenne proverbiale, tanto che a Cremona è rimasto il detto «Non ho mica la borsa di sant'Omobono».

Omobono, fu veramente un servo inutile che visse nell’obbedienza all’amore per Dio e per il prossimo.
Morì un giorno d'autunno all'improvviso, il 13 novembre 1197, senza un lamento, senza soffrire, durante la Messa nella chiesa intitolata a sant'Egidio (oggi intitolata allo stesso S. Omobono), mentre recitava il Gloria.
Papa Innocenzo III, canonizzò Omobono il 13 gennaio 1199 con la bolla Quia pietas, nella quale lo definì pacificus vir, a meno di due anni dalla morte. Egli fu il primo laico della storia ad essere canonizzato.




Francesca Saverio Cabrini era un semplice e insignificante maestrina di paese, “della bassa”, come si dice in gergo, di S. Angelo Lodigiano.
Ultima di tredici figli, nasce prematura. A undici anni, il confessore le permette di fare un voto privato di castità, che rinnoverà anno dopo anno, fino a quando, diciannovenne, consacrerà per sempre la sua verginità a Cristo. Entra così nel cammino di servizio per il Regno fin dalla sua giovinezza. Nella sua infanzia dopo il Santo Rosario in famiglia ascoltava la lettura delle imprese missionarie: sognava così di andare missionaria in Cina.
Il 14 novembre 1880 vede nascere una nuova congregazione religiosa: l'Opera delle Suore Missionarie del Sacro Cuore.
La nuova opera fondata da Madre Cabrini trae vita dal Cuore di Gesù: ricorda al Madre che bisogno vestirsi delle virtù del Cuore di Cristo, ma soprattutto dell’obbedienza amorevole di Cristo, che si mette a servizio dell’umanità.

Dirà alle sue religiose:
«La vera missionaria non pensa mai: «Che carica mi verrà data da ricoprire? Dove sarò mandata?» e non dovrebbe mai dire: «Non posso far questo o quello; ne sono incapace». Che diventi Superiora Generale, che sia inviata ad insegnare in una classe di piccoli, o a spazzare una scala, dovrà adempiere serenamente al proprio obbligo... Tale è il vero amore, l'amore pratico, spoglio di qualsiasi interesse personale; è l'amore forte che dovreste avere tutte. Siete state immolate al Sacro Cuore di Gesù; è in tale totale abnegazione di sé che si trova l'essenza della santità».

Scrive il beato Giovanni Paolo II:
«I fondatori fanno sempre prova di un vivo senso della Chiesa, che si manifesta attraverso la loro piena partecipazione alla vita ecclesiale in tutte le sue dimensioni, e attraverso la loro pronta obbedienza ai Pastori, specialmente al Pontefice romano. È nella prospettiva dell'amore per la Santa Chiesa, colonna e sostegno della verità (1 Tim. 3, 15) che vanno capite la devozione di Francesco d'Assisi per «il Signor Papa», l'audacia filiale di Caterina da Siena nei riguardi di colui che chiama «il dolce Cristo in terra», l'obbedienza apostolica ed il sentire cum Ecclesia di Ignazio di Loyola, la gioiosa professione di fede di Teresa di Gesù: «Sono figlia della Chiesa». Si capisce anche l'ardente desiderio di Teresa di Lisieux: «Nel cuore della Chiesa, mia madre, sarò l'amore...» Queste testimonianze sono rappresentative della totale comunione ecclesiale che santi e fondatori hanno vissuto in epoche e circostanze diverse e spesso difficilissime. Sono esempi cui le persone consacrate devono riferirsi costantemente, per resistere alle spinte centrifughe e distruttrici oggigiorno particolarmente forti»

Così anche maestrina del lodigiano, dopo l’incontro con il Beato Giovanni Scalabrini, vescovo di Piacenza, e il monito di papa Leone XIII «Non in Oriente, ma in Occidente. …Vada negli Stati Uniti! Ci troverà un vasto campo di lavoro», inizia l’opera missionaria in America, dove poi si congederà da questa terra il 22 dicembre 1917. Abbandona così il suo sogno d’infanzia dia andare missionaria in Cina.

Concludo con un pensiero di Madre Cabrini, che ci riporta al tema del Vangelo di questa mattina: essere servi obbedienti, servi inutili, è un dono da chiedere al Signore nella preghiera:

«Pregate, pregate sempre, e chiedete senza posa lo spirito di preghiera,... Qual è lo spirito di preghiera? È pregare secondo lo spirito di Gesù... in Gesù e con Gesù. Lo spirito di preghiera significa pregare in armonia con il volere divino, volendo unicamente quel che Dio vuole... Ciò significa che i nostri spiriti sono fissati sulla preghiera in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, mentre lavoriamo, camminiamo, mangiamo, parliamo, soffriamo... abitualmente e sempre».

lunedì 12 novembre 2012

Santa Diana !?!




DIANA

Deriva dal greco Dîos e significa "celeste, luminosa, divina". Diana era la dea romana della caccia e dei boschi e alcuni fanno derivare il suo nome da Delo, l'isola greca in cui nacque. A volte era infatti chiamata Delia.

La beata Diana degli Andalò, Nacque a Bologna verso il 1200. Ammiratrice dei primi Predicatori, appoggiò il beato Reginaldo di Orléans, uno dei padri predicatori mandati da san Domenico a Bologna, nella compera della località di Vigne, contigua alla chiesa di San Nicolò, la futura chiesa di san Domenico. L'atto porta la data del 14 marzo 1219. Quando nell'agosto dello stesso anno san Domenico andò a Bologna, Diana, con altre giovani dame, fece nelle sue mani il voto di vita religiosa. L'anno dopo chiese a san Domenico di poter fondare un monastero. Si decise così l'acquisto di un terreno a tale scopo alla periferia della città, ma il vescovo negò la sua autorizzazione. Il 22 luglio 1221 Diana entrò nel monastero delle Canonichesse di Ronzano, ma ne fu strappata dai parenti con la violenza; nel trambusto, la ragazza ebbe una costola rotta. San Domenico la consolò con lettere, oggi perdute. Poté tuttavia tornare a Ronzano, dove dimorò fino al giugno 1223. Dopo che il beato Giordano di Sassonia, successore di san Domenico, ebbe fondato il monastero di Sant'Agnese, Diana vi vestì l'abito dell'Ordine e ne fu eletta superiora. Morì nel 1236.

L'onomastico si può festeggiare il 10 giugno, in ricordo della beata Diana degli Andalò.

domenica 11 novembre 2012

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)



profeta Elia e la vedova di Sarepta


Dice Gesù nel Vangelo di Marco:
“Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo”.

Superfluo. Se cerchiamo nel dizionario questo termine, troviamo questa definizione: Che eccede, che non è necessario.

È interessante la definizione, in opposizione all’osservazione di Gesù sulla vedova:
“Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.

La vedova anonima: una sprovveduta o una donna di fede al pari di Marta, di Maria di Nazareth, della Maddalena, di Simon Pietro…

Alla luce delle altre letture appare che la vedova anonima del Vangelo è una donna di fede.
Come anche la vedova di Sèrepta di Sidone, appartiene a questi personaggi che non hanno avuto un ruolo significativo nella storia della salvezza, ma sono stati nel loro piccolo dei segni reali di come l’uomo si pone di fronte a Dio: in totale abbandono.
In loro risuona il monito del profeta Elia della I lettura: “Non temere”.

Quante volte risuona questa speranza nella Bibbia.
“«Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande».
«Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te una grande nazione
Il Signore disse a Giosuè: «Non temere e non abbatterti. Prendi con te tutti i guerrieri. Su, va' contro Ai. Vedi, io consegno nella tua mano il re di Ai, il suo popolo, la sua città e il suo territorio.
Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva d'Israele; io vengo in tuo aiuto - oracolo del Signore -, tuo redentore è il Santo d'Israele.
«Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini».
«Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare, ed ecco, Dio ha voluto conservarti tutti i tuoi compagni di navigazione».
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo,…”

Dalla libro della Genesi all’Apocalisse, il Signore ci consola, ci da speranza… non temere.
La vedova non teme, ella si fida, perché sa che la sua vita è nelle mani di Dio: “nessuno può strapparle dalla mano del Padre”, dirà Gesù, il buon pastore.

Il gesto della vedova è allora il gesto di una figlia che ripone la sua forza di colui che è Padre.
Il gesto della vedova è anche il gesto di una figlia che crede nella provvidenza di Dio, per cui donando tutto quello che “aveva per vivere”, afferma che domani Dio si prederà cura di lei.
Ecco il nostro Dio: un Padre, un Dio che come il buon pastore custodisce le sue pecore.




Ma il gesto della vedova ci richiama anche al senso del dono, del servizio, della carità.
Che non è mai qualcosa che avanza, che eccede, che non è più necessario, ma la carità è parte integrante del nostro essere, non è ciò che rimane dopo i nostri calcoli. La carità non calcola, la carità costruisce il necessario, anzi la carità vuole far si che ciascuno possa avere il necessario: ecco perché non può nascere dal superfluo. Infatti il superfluo non costruisce, ma illude.




Pensate alla carità di San Martino? Non fece nessun calcolo… diede la metà del suo mantello!

La carità infatti, quella che nasce dall’esempio di Cristo, annulla il peccato della disuguaglianza, del desiderio di possedere, che come dice l’Apostolo Giacomo, dilania le nostre membra: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni”.

Infine il gesto della vedova è segno di un discepolo che trova nel Signore la sua pienezza, la direzione del vivere.

Concludo con un pensiero di Sant’Agostino:
“L'amore nelle avversità sopporta, nelle prosperità si modera, nelle sofferenze è forte, nelle opere buone è ilare, nelle tentazioni è sicuro, nell'ospitalità generoso, tra i veri fratelli lieto, tra i falsi paziente. E' l'anima dei libri sacri, è virtù della profezia, è salvezza dei misteri, è forza della scienza, è frutto della fede, è ricchezza dei poveri, è vita di chi muore. L'amore è tutto”.