domenica 6 dicembre 2009

Il vero Babbo Natale

San Nicola di Myra
Cattedrale di Bari

Dante sta avanzando nel quinto girone del Purgatorio ove sono collocate le vittime di quella «maladetta antica lupa» che è l'avarizia. Ecco farglisi incontro Ugo Capeto, il primo re della dinastia di Francia (X secolo), «radice de la mala pianta» di un potere detestato dal poeta. Ma le parole di quel sovrano impressionano Dante perché evocano un esempio di assoluta generosità: è quella «larghezza / che fece Niccolao a le pulcelle, / per condurre ad onor la giovinezza» (Purgatorio XX, 31-33). Emerge, così, il volto di san Nicola, un profilo aureolato non solo di santità e di fama ma anche di leggenda, come appunto accade per l'episodio commemorato dal Capeto: alle tre giovani, che un padre in miseria aveva ormai votato alla prostituzione, Nicola era venuto in soccorso introducendo di notte nella loro stamberga tre borse colme di monete d'oro. E pochi sanno che a quell'atto munifico risale l'uso folcloristico dei doni portati ai bambini da «Santa Claus», deformazione popolare e mitizzata di «Sankt Niklaus» nell'area anglosassone.

La biografia di Nicola rimane immersa nell'agiografia più favolosa, tant'è vero che la lista dei suoi miracoli è sterminata e colma di iridescenze fantasiose: si va dal salvataggio di un intero equipaggio durante una furiosa tempesta (per questo è divenuto patrono dei marinai) al superamento prodigioso di una carestia, fino alla risurrezione di tre giovani chierici che un albergatore cupido e sadico aveva fatto a pezzi e messi in salamoia per impossessarsi del loro denaro. Un taumaturgo straordinario, quindi, che avrebbe trionfato nella devozione popolare la quale l'avrebbe alonato di luce così intensa fino a dissolverne i lineamenti storici. Se è vero, come è stato attestato nelle scorse settimane da un sondaggio, che Padre Pio è in assoluto il santo più invocato e amato dagli italiani, possiamo dire che nel passato questa postazione di privilegio era occupata da Nicola sia in Oriente sia in Occidente.

L'arte si gettò su di lui con una passione unica e la mostra barese lo testimonia in modo diacronico e tematico, conducendoci fino a un dipinto di Warhol che introduce il Nicola-Santa Claus persino nel dissacrato mondo postmoderno. Ma già nel Medioevo l'Europa era costellata di chiese dedicate al santo (duemila in Francia e Germania, quattrocento in Inghilterra, quaranta in Irlanda e un numero incalcolabile in Italia) al punto tale che un inno latino non esitava a cantare: «Se io avessi mille bocche e mille lingue, non riuscirei a enumerare tutte le chiese sorte in onore del glorioso san Nicola». La sua protezione era stata accaparrata, oltre che dai marinai, anche dagli artigiani e dai viaggiatori, dai carcerati e dagli schiavi, dai sofferenti e dai lavoratori, dalle vittime di furti e dalle famiglie, dai bambini e dalle nubili per il citato gesto delle «tre limosine d'oro», come dicevano gli antichi racconti.


Ecco, gli antichi racconti sono un po' la nostra fonte in cui bisogna sceverare qualche dato storico in mezzo a una fioritura lussureggiante di miti, di ricostruzioni creative, di dati devozionali. Una lunga trama fatta di tradizioni orali si era cristallizzata in scritti come quella Vita per Michaelem del IX secolo, composta da un autore ignoto, che è stata il primo anello di una vera e propria genealogia, da cui discesero le opere di Metodio, patriarca di Costantinopoli, di Giovanni, diacono napoletano, dalla celeberrima e popolarissima Legenda aurea di Iacopo di Varazze(qui ne pubblichiamo un passo), di Simone Metafraste e così via.
Tra l'altro, in questa trasmissione era anche avvenuta una curiosa contaminazione: il nostro san Nicola era stato confuso con un altro Nicola, santo e vescovo come lui, Nicola di Sion, vescovo di Pinara di Licia, la stessa regione del Nostro, ma vissuto tre secoli dopo.

In questa massa di memorie e di leggende è possibile rintracciare qualche filo storico a cui affidarci per una biografia essenziale? La risposta è molto esitante e ogni dato dev'essere assunto sempre con cautela. La sua terra d'origine sembra essere la Licia, una regione dell'Asia minore meridionale. Là, forse nella cittadina di Patara, egli vide la luce nella seconda metà del III secolo. La città che, però, entrerà nella prima denominazione popolare del santo è Myra, la sua sede episcopale, e in questa veste Nicola avrebbe partecipato al Concilio di Nicea del 325, anche se il suo nome non figura nell'elenco ufficiale di quei Padri conciliari. Giunsi anni fa in quella che ora si chiama Demre ed è un importante centro agricolo, posto in una pianura costiera popolata di serre ortofrutticole e affacciata sul mar Egeo meridionale. Là, in verità, mi ero recato - durante uno dei miei molteplici viaggi in Turchia - non solo per san Nicola ma anche per visitare lo stupendo complesso di tombe rupestri intagliate in un'ampia parete rocciosa. Sul modello della straordinaria città di Petra in Giordania, questa sequenza architettonica "verticale" di facciate sepolcrali ellenistiche a forma di residenze è simile a una mappa urbana di palazzi e templi, posti però in piedi l'uno sull'altro.

Ma a Demre si va soprattutto per visitare la chiesa di san Nicola, talora con la delusione di non riuscirci perché in inverno e in primavera, essendo l'edificio a tre metri sotto il livello stradale attuale, essa è sommersa dalle acque delle piogge. Là già nel V secolo, quindi poco dopo la morte del santo avvenuta a metà del IV secolo, si levava un martyrion, cioè un tempietto memoriale, e dalla sua tomba emanava quel liquido prodigioso e aromatico che accompagnò quasi sempre la salma del santo e che fu denominato «il santo myron». È probabile che si trattasse di olio fatto colare dai fedeli per riaverlo poi benedetto dal contatto con le ossa di Nicola. La basilica che seguì si sviluppò attraverso i secoli fino alla seconda metà del XIX secolo.
Ma per tutti Nicola è legato alla città di Bari e qui si entra in un ambito più storico e documentabile. Era il 1087 quando la sua salma fu strappata a Myra e imbarcata per la città pugliese. Un documento del XII secolo, che conserva anche i nomi dei 62 marinai che operarono il trafugamento, narra la vicenda con vari colpi di scena. A ordire questa manovra sarebbero stati due sacerdoti baresi, Lupo e Grimoaldo, che avrebbero guidato la spedizione, preparata da un esploratore. Tralasciamo i particolari dell'azione che ebbe momenti di tensione e che in realtà era forse destinata a prevenire un analogo progetto dei Veneziani, e seguiamo i resti mortali di Nicola che approdarono a Bari il 9 maggio 1087.

Ormai aveva inizio quella storia che è ampiamente documentata dalla mostra del Castello Svevo di Bari e che giustamente intreccia "il corpo e l'immagine", perché il dato storico si incrociò sempre con la devozione, l'arte, la bellezza, a partire dalla stessa grandiosa e austera basilica che ospita le reliquie di Nicola, mirabile esempio di romanico pugliese. Fu un abate benedettino, venerato da tutti, Elia, che sarebbe poi divenuto arcivescovo della città, a far concedere dal duca di Puglia, Ruggero il Normanno, l'area dell'antica residenza dei governatori bizantini («Corte del Catapano») per erigervi il santuario del santo. Era il 1089 quando a consacrare la cripta venne da Roma il papa Urbano II, che volle con le sue mani deporre sotto l'altare l'urna delle reliquie di Nicola. E nove anni dopo, nel 1098, lo stesso pontefice celebrava nella basilica ormai compiuta un importante concilio per il dialogo con la Chiesa greca.



Sepolcro di San Nicola
Basilica del Santo - Bari


È per questo che a Bari un'istituzione accademica teologica si dedica ancor oggi con rigore e passione all'ecumenismo, soprattutto nei confronti dell'Ortodossia. E anche se nel 1095 davanti alle reliquie di Nicola si inginocchiò a pregare Pietro l'Eremita prima di partire per la sua crociata, il santo rimase sempre un ideale ponte di fede e di comunione tra le Chiese cristiane d'Oriente e d'Occidente, raffigurato nelle icone ortodosse ma anche nei bassorilievi delle cattedrali europee, presente negli affreschi della chiesa di S. Sofia a Kiev ma anche nelle Storie a lui dedicate in S. Croce di Firenze da Agnolo Gaddi o nelle tele di Tiziano e Tiepolo.

Un emblema, quindi, di dialogo religioso e culturale, del tutto necessario ai nostri giorni.

Gianfranco Ravasi
Articolo tratto da Il Sole 24ORE del 26 novembre 2006